In Italia arriva “l’adozione” in stile islamico | La Nuova Bussola Quotidiana

di Valentina Colombo 20-02-2015

Il Senato italiano si appresta a confermare il voto della Camera di ratifica della Convenzione  dell’Aia del 1996 che introduce l’istituzione islamica della kafala, letteralmente “mantenimento/affidamento [del minore]” nell’ordinamento italiano. Ha esprimere le proprie riserve è il senatore Carlo Giovanardi che sottolinea che la kafala è “un istituto vigente negli stati islamici che non ammettono l’adozione, ma solo l’affido dei minori abbandonati o comunque bisognosi di assistenza  a condizione che la famiglia  accogliente sia musulmana  o accetti di diventarlo.” Giovanardi ribadisce che “in questo momento storico è davvero singolare un atto di sottomissione del nostro Paese a questo diktat che costringerebbe le coppie affidatarie ad una conversione obbligata in evidente contrasto con il diritto di professare liberamente la propria fede, sancito dall’art. 19 della Costituzione nonché il principio costituzionalmente garantito e affermato anche a livello comunitario del divieto di discriminazioni fondate sulla religione di appartenenza”.

Per meglio comprendere le affermazioni di Giovanardi occorre compiere qualche passo indietro e risalire alle origini dell’istituzione islamica. Nonostante l’islam abbia da sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti dell’orfano poiché Maometto stesso perse entrambi i genitori in tenera età, l’adozione – intesa come cambiamento d’identità e cancellazione di un’appartenenza precedente – resta severamente vietata in base ai versetti 4 e 5 della sura XXXIII in cui si legge: “[Allah] non ha fatto di quelle mogli che voi ripudiate con zihar delle madri e non ha reso i vostri figli adottivi dei veri figli; questo lo dite voi con la vostra bocca, ma Allah dice la verità e guida sul sentiero. Chiamerete i vostri figli adottivi con il nome dei loro padri: questo è più equo presso Allah; e se non conoscete i loro padri, essi saranno i vostri fratelli nella religione e i vostri protetti”.  Il versetto è chiaro e non dà adito a dubbi.

Un musulmano può quindi prendere in affidamento un bambino per potergli assicurare sostentamento e affetto. Il tutto può accadere però a patto che mantenga il nome originario. Quest’ultima modalità ovvero la presa in carico di un minore abbandonato, in arabo viene definita kafala, e viene illustrata con estrema chiarezza da Yusuf Qaradawi, il teologo di riferimento dei Fratelli musulmani, nel suo celebre saggio Il lecito e l’illecito nell’islam: “C’è un’altra forma di adozione che la gente prende per adozione, ma non è quella vietata dall’islam. Si tratta per l’uomo di adottare un orfano o un figlio naturale. Questi lo considera come suo vero figlio in quanto ad amore, cure e educazione. Gli offre alloggio, lo nutre, lo veste, lo istruisce e lo tratta come se fosse un bambino uscito dai suoi lombi. Nonostante tutto ciò egli non lo attribuisce a sé e non gli riconosce i diritti di filiazione […] Quando l’uomo non ha discendenza e quando vuole regalare a questo bambino una parte dei suoi beni, lo può fare quando è in vita […]”

E’ evidente da queste parole il motivo per cui la kafala non possa essere equiparata né confusa come un’adozione a tutti gli effetti. Ne consegue l’insorgere di problemi non indifferenti nel caso di adozioni internazionali che coinvolgano paesi a maggioranza islamica. Ad esempio, un ente italiano autorizzato all’intermediazione con il Marocco può ottenere l’autorizzazione all’ingresso in Italia di un minore affidato a una coppia di italiani con un provvedimento di kafala emesso dalla competente autorità marocchina, che attribuisce loro diritti e doveri connessi all’assistenza e all’educazione del minore, senza però avere alcun effetto costitutivo di uno status familiare. Per questa ragione, qualsiasi autorità giudiziaria o amministrativa di un paese islamico che emetta un provvedimento di kafala e autorizzi il trasferimento all’estero del minore così affidato, pur sapendo che seguirà un’adozione vera e propria nel paese di accoglienza, pone in essere un provvedimento illegale. Una volta giunto in Italia il minore, i genitori adottivi possono richiedere l’attuazione del provvedimento straniero come provvedimento di affidamento. Tuttavia il giudice potrebbe, come di fatto è già accaduto, ritenere che ciò non possa avvenire, per mancanza dei requisiti previsti dalla legge italiana. La kafala non è, come si è detto, un provvedimento straniero di affidamento preadottivo e in nessun modo i genitori naturali o gli altri soggetti eventualmente responsabili o esercitanti la potestà sul minore hanno acconsentito a che il minore venisse adottato. L’unica via di uscita è quella di un’adozione “straordinaria”. Ciononostante la mancanza di compatibilità tra due sistemi, ad esempio quello marocchino e quello italiano, crea quindi una situazione assurda: la presenza di un minore in stato di abbandono e di una coppia disposta a prendersene cura, e un giudice costretto a ricorrere a misure speciali.

Hassan II, padre di Muhammad VI, si era opposto alla richiesta dello Stato francese di riscrivere la legge sulla kafala rispondendo che l’islam aveva già pronunciato l’ultima parola sulla questione. Vero è che la religione islamica non ha una posizione univoca. Soheib Benckeikh, ex mufti di Marsiglia, ha illustrato – a differenza di Qaradawi – che il Corano permette ai genitori di trasmettere il loro cognome ai bambini adottati. Tanto che in Marocco, i bambini adottivi possono oggi ricevere il cognome dei genitori, tuttavia ciò è realizzabile a titolo eccezionale e sotto il rigido controllo  del Ministero degli Interni.

Va ricordato che il Marocco è comunque l’unico paese islamico ad avere avviato nel 2003 un protocollo d’intesa con l’Italia in ottemperanza alla convenzione dell’Aia del 29 maggio 1993 circa la protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. Anche se la Commissione adozioni internazionali ha precisato che per essere messo in atto occorre una modifica alla legge 149, affinché non siano troncati i rapporti con la famiglia d’origine del minore adottato, in ottemperanza al diritto islamico.

Si tratta solo di alcuni esempi che vogliono ribadire l’estrema complessità della tematica della kafala. La complessità aumenta nel momento in cui il diritto internazionale delle convenzioni viene a scontrarsi con il diritto dei singoli paesi islamici e con le diverse interpretazioni delle fonti del diritto islamico.  Va comunque rammentato che le uniche riserve “islamiche” alla Convenzione sui Diritti del Bambino delle Nazioni Unite riguardano l’articolo 14 sulla libertà di religione e gli articoli 2 e 21 sull’adozione. Quindi ha ragione il senatore Giovanardi a sollevare dubbi e a chiedere il rispetto dell’articolo 19 della Costituzione poiché a  prescindere da tutti gli aspetti giuridici e cavilli legali, se lo scopo del legislatore e di uno Stato deve essere quello di tutelare il minore, dal punto di vista fisico, affettivo e legale, credo sia necessario comprendere che l’istituzione della kafala, a meno che non si tratti di una fase temporanea necessaria per potere trasferire il minore sotto la tutela della legge italiana, non è nient’altro che un modo di creare figli di secondo livello, discriminati tanto nel loro paese di origine quando in quello di arrivo. La tutela del bambino dovrebbe imporre leggi chiare e non relativiste a partire dal livello internazionale laddove non si dovrebbero rendere sinonimi due termini che hanno un sostrato e un contenuto completamente diverso.

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