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Jdayet Al Fadel (Siria), l’ultimo “massacro”: cosa e’ successo secondo cinque fonti della zona

Dalla redazione

Il “massacro” avvenuto 3 giorni fa (il 22 aprile) nel sobborgo di Jdayert al-Fadel, a circa 15 km a sud-ovest di Damasco, secondo la maggior parte delle fonti è il più grande dall’inizio della crisi siriana, due anni fa, ma ci sono molte divergenze circa il numero di morti, la dinamica e i responsabili.

Se l’”Osservatorio siriano per i diritti umani” di Londra inizialmente parla di circa 80 persone, il “coordinatore” in zona documenta 127 nomi di morti e afferma che 28 corpi sono stati trovati più tardi (ma la ricerca è ancora in corso). I “Comitati di coordinamento locali” (Lcc), da parte loro, hanno parlato di 476 persone.

Ma, a differenza della maggior parte degli episodi precedenti, in questo caso mancano quasi del tutto video e immagini. Ne è stato diffuso uno, suddiviso in tre parti, da fonti dell’opposizione, e notizie che circolano senza prove in grado di fornire un quadro preciso e oggettivo sull’accaduto.

Dopo tre giorni di controllo e revisione, il sito SyriaTruth ha ricostruito i fatti i sulla base di cinque fonti indipendenti della zona.

La storia è iniziata lo scorso lunedì 15 aprile, quando, in concomitanza con l’avvicinarsi della fine dei combattimenti nel vicino sobborgo di Daraya, diversi gruppi armati antigovernativi si sono diretti verso la zona di Jdaydet al-Fadel.

La città è stata quindi circondata dall’esercito, in modo che l’uscita fosse consentita unicamente attraverso il passaggio da posti di blocco militari (in particolare la barriera Faour in direzione di Damasco), mentre al contrario l’ingresso per gli armati era lasciato libero, in modo da creare una vera e propria trappola.

Una fonte locale ha dichiarato: “Abbiamo avuto la sensazione che qualcosa di grosso stava per accadere, ma non sapevamo cosa. Al di là dei movimenti sospetti in città, soprattutto nelle zone occidentali e nord-occidentali” e ha parlato di centinaia di militanti che hanno occupato la zona e le abitazioni private e la zona vicino all’ambulatorio.

Secondo le informazioni disponibili, l’esercito aveva saputo che centinaia di armati avevano iniziato a indirizzarsi verso la città, in vista di dichiararla “liberata”. Alcuni erano parte dei gruppi fuggiti da Daraya nei giorni precedenti. L’intenzione dei militanti era occupare la zona per attaccare il vicino posto militare di Youssef al-Asma.

L’esercito, dal canto suo, attendeva intorno alla città, in attesa di attirare il maggior numero di militanti nell’imboscata, tra cui elementi di Jabhat al Nusra e dell’affiliata Brigata Forkan. Nel frattempo, i militari appostavano più di 700 tiratori sulle colline che dominano la zona.

Lo scorso lunedì 15 aprile, due ore prima dell’annunciata “ora zero” per l’attacco delle bande armate, le unità militari hanno avviato un primo attacco sui luoghi di concentrazione degli insorti, utilizzando diversi tipi di armi, con l’eccezione degli aerei.

Durante i quattro giorni di scontri, sono caduti quasi 600 armati, colpiti soprattutto dal tiro dei cecchini (come mostrano le poche immagini diffuse), i superstiti – secondo le fonti quasi nessuno – sono fuggiti verso i monti di Khan Sheikh (da cui erano arrivati), Doursha, Dar Khabye e altre zone limitrofe.

Un testimone oculare ha descritto quello che ha visto nella zona che si estende da via Sikka all’ambulatorio dicendo che era un “campo di cadaveri” e che dal suo balcone era riuscito a contare sulla strada più di settanta corpi di militanti.

Nessun funerale sembra essere stato fatto nel villaggio, nonostante siano ormai trascorsi dei giorni dalla fine dei combattimenti: prova che gli uccisi non erano della zona. Ma se ci sono alcune donne e un bambino e in generale i 17 civili? Non han fatto il funerale per loro?

Una fonte del Partito Democratico del Popolo ha detto che il numero di morti era di circa 550 morti, un’altra che erano oltre 600. Ma la cosa più importante è che il numero di civili innocenti che hanno perso la vita, secondo le fonti, non ha superato i 17, tra cui tre donne e un bambino.

In particolare una famiglia è stata utilizzata come scudi umani da militanti, secondo una fonte di quel quartiere.

Le fonti hanno confermato che le bande hanno anche bruciato una cinquantina di cadaveri durante i primi due giorni (pratica già utilizzata e documentata in altre zona del Paese, in particolare a Homs e Idleb). Stessa accusa era stata rivolta all’esercito dalle fonti dell’opposizione.

Tutte le fonti hanno confermato che la situazione nella città, che racchiude in sé rappresentanti delle diverse religioni ed etnie che compongono il territorio siriano, è tornata alla normalità due giorni fa: gli abitanti hanno ripreso possesso delle loro abitazioni, le famiglie hanno ripreso la loro quotidianità, l’assedio si è concluso e la popolazione può muoversi liberamente, ripristinati i servizi telefonici e l’elettricità nella regione, anche se non completamente, a causa di danni alla rete di comunicazione terrestre e alla rete elettrica.

Fonte: Jdayet Al Fadel (Siria), l’ultimo “massacro”: cosa e’ successo secondo cinque fonti della zona « SibiaLiria.

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