La città laboratorio dell’ideologia del gender

di Andrea Zambrano

Bologna non è più “la dotta”, ma è rimasta “la rossa” confermandosi sempre più un laboratorio per sperimentare tesi al limite del totalitarismo ideologico. Prima la vicenda del referendum illiberale sulle scuole paritarie, la maggior parte delle quali cattoliche, che ha rischiato seriamente di costringere il sindaco Virginio Merola a togliere il contributo di un milione all’anno che garantisce l’esistenza delle scuole dell’infanzia private, alleggerendo secondo il principio di sussidiarietà il comparto pubblico.

Adesso ci si mette la moda del momento: assecondare le teorie del ministro per le pari opportunità Cecile Kyenge che si era detta favorevole ad eliminare la dicitura madre e padre negli atti pubblici. Dopo Venezia, l’attacco si è spostato a Bologna, in maniera già organizzata. E ancora più folle, se possibile.

L’assessore alla scuola e formazione del Comune felsineo, Marilena Pillati ha addirittura osato una proposta che fa a pugni con la ragione più della precedente: «Presto sui moduli del Comune di Bologna non ci sarà più alcun riferimento a “padre” e “madre”», ha tuonato. Ma Palazzo D’Accursio, essendo un laboratorio dove sperimentare le più ardite soluzioni, non adotterà nemmeno la distinzione tra “genitore 1” e “genitore 2″. Perché? Semplice: perché si tratta anche in questo caso di una discriminazione dato che «non abbiamo mai pensato di inserire ”genitore 1” e ”genitore 2” o altri termini che possano stabilire una gerarchia tra i genitori».

Così la soluzione scelta da Bologna, per tutta la modulistica dei servizi per l’infanzia sarà la seguente: “genitore richiedente” e “altro genitore”. Una scelta “pilatesca” (mai cognome fu più appropriato) che sgancia il Comune da possibili accuse di essere del partito anti-omofobia, ma contemporaneamente strizza l’occhio alla cultura del gender che sta prendendo piede in tutt’Italia attraverso una sapiente regia volta a stravolgere le leggi di natura. Intanto però le pericolose parole madre e padre devono sparire.

Immediate le reazioni politiche, come sempre accade per vicende di questo genere, con gli schieramenti, ben delineati: Sel entusiasta, Pdl, Lega e Udc inorriditi e Pd alla finestra che chiede tempo, contestualizza, si divide. A margine, ma determinante, il potente circolo Arcigay Il Cassero che esulta rimarcando la necessità di queste disposizioni dopo un caso di presunte minacce anonime omofobe ricevute dal suo presidente Cathy La Torre: «Un’inaccettabile impennata di toni che è l’esito diretto della chiamata alle armi esplicita della destra e di parte dei cattolici».

Così mentre il Pdl promuove una raccolta di firme per invitare i genitori alla disobbedienza civile verso questa decisione e l’Udc per bocca del suo leader Pierferdinando Casini, bolognese, fa notare come si voglia far passare «l’idea che la genitorialità possa essere diversa da quella naturale», stupisce la posizione ancor più pilatesca del Pd, che si chiede se non esista un modo per «rimuovere le discriminazioni senza tuttavia cancellare le parole ”madre” e ”padre”». Equilibrismo puro.

Sullo sfondo l’approdo in Parlamento della legge sull’omofobia che ha fatto parlare anche sulla via Emilia. Nel giorno dell’avvio dei lavori parlametari il deputato Pd modenese Davide Baruffi ha apostrofato, neanche troppo gentilmente, Francesco Belletti, presidente nazionale del Forum delle Associaizioni familiari, reo di aver scritto a tutti i parlamentari chiedendo loro di fermarsi dall’approvare la legge perché un chiaro attacco alla famiglia e al concetto di identità della persona e sottolineando, nel giorno del recupero della nave concordia che «l’inchino alle lobby gay ci porterà dritti sugli scogli». «Ma chi rappresenta questo forum? Non certo la mia famiglia», si è chiesto tra il livoroso e scandalizzato deputato emiliano.

Evidentemente il deputato dimostra di non conoscere quelle migliaia di associazioni che nel nascondimento più totale e con risorse esigue tolgono le castagne dal fuoco allo Stato, che non riesce a dare una risposta a tutti nel campo del Welfare assistenziale, scolastico ed educativo. Associazioni del cui apporto nella società anche Baruffi, che non vive sulla luna, beneficia.

Una miopia di cui il responsabile principale è quel Pd, che in questi anni ha fatto la corsa ad accaparrarsi il voto dei cattolici accorsi a frotte su istigazione di molti preti incuranti dei valori cattolici calpestati. Ora quel partito contraddice i valori per i quali anche i vecchi comunisti di una volta si sarebbero stracciati le vesti. Il tutto nella città dove l’arcivescovo Caffarra è finito più volte nel mirino per le sue posizioni a difesa della dignità umana, della libertà di educazione e contro la dittatura del gender. Il fatto che la campagna sia partita proprio da Bologna qualche sospetto crea.

Tornando alla sguaiata sceneggiata di Baruffi, c’è da farsi una domanda: se un deputato della Repubblica ha sentito il bisogno di chiedersi chi mai sia il Forumfamiglie, non è questa la dimostrazione più lampante che le lobby gay sono riuscite a mettere anche l’ultima bandierina, cioè cancellare il diritto di cittadinanza di chi si oppone a proposte legislative chiaramente totalitarie? Tira brutta aria tra la via Emilia e il far west della dittatura del relativismo.

Fonte: La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – La città laboratorio dell’ideologia del gender.

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