La libertà religiosa

Sotto il profilo soggettivo, la libertà di fede religiosa, garantita dall’articolo 19 della Costituzione, consiste nel diritto di tutti gli individui di “professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di darne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.

La libertà religiosa può definirsi più in generale come la libertà, garantita dallo Stato a ogni individuo, di scegliere la propria credenza in fatto di religione.

Il diritto di religione è quindi un diritto pubblico che s’inquadra all’interno dei diritti di libertà. Come tutti i diritti di libertà, essa si differenzia dai c.d. “diritti sociali” (es. diritto all’assistenza) perché, mentre queste comportano la pretesa verso lo Stato ad una prestazione positiva, il diritto di libertà religiosa del cittadino, postula, invece, la pretesa di una prestazione negativa, sia da parte dello Stato che degli altri cittadini, tenuti ad astenersi da quegli atti che possono impedirne il libero esercizio.

Fatta questa premessa possiamo dire che il generico diritto di libertà religiosa, di fatto finisce per acquisire tutta una serie di contenuti concreti, quali:

1. la libertà di fede, ossia l’autonomia concessa a ciascun individuo di scegliere il proprio credo  religioso, ovvero di non professare alcun credo (c.d. libertà di ateismo);

2. la libertà di culto, cioè la libertà di ciascun individuo di esercitare il proprio culto religioso;

3. la libertà di propaganda religiosa che si concretizza nella facoltà di ciascun individuo di esternare il proprio credo religioso divulgandolo – sia in pubblico che in privato – con opere di proselitismo;

4. costituire o appartenere ad associazioni di carattere religioso, che non possono essere soggette a speciali limitazione legislative, né a speciali gravami fiscali per la loro costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività per il solo fatto di possedere un carattere ecclesiastico o perseguire un fine di religione o di culto (art. 20 Cost.)

L’unico limite che espressamente l’art. 19 Cost. pone all’esercizio della libertà religiosa è rappresentato dal divieto di riti contrari al buon costume. Questa espressione è stata intesa da taluni in maniera restrittiva come esclusione della legittimità dei riti che offendono la libertà, il pudore e l’onore sessuale, e da altri in modo più ampio intendendola come esclusione della legittimità dei riti contrari al sentimento etico. Si tratta di un concetto elastico caratterizzato da relatività storica.

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