La necessità di quote rosa smentisce le teorie LGBT | UCCR

Quote rosaDall’Europa piove una direttiva sull’imposizione agli stati membri di quote rosa nei consigli di amministrazione delle imprese e nei luoghi decisionali della politica. Il 40% devono essere donne, o meglio del “sesso sottorappresentato” che attualmente è, ampiamente, il genere femminile.

Vivo in un paesino che ha avuto il suo momento di notorietà nazionale perché l’amministrazione composta da sindaco e giunta è tutta al femminile. Unico caso sembra in Italia. Se questa situazione era esibita come un fiore all’occhiello, ora dovrà essere vista come un’operazione sessista. A parte la discutibilità di provvedimenti che impongono burocraticamente e non meritocraticamente la suddivisione dei posti di comando, trovo interessante e applicabile anche alla famiglia questa logica spartitoria.

Tantopiù quando qualche mese prima della direttiva era stata votata una risoluzione chiamata “Risoluzione sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea”, presentata dalla radicale di sinistra olandese Sophie in’t Veld, in cui, insieme alla richiesta di quote rosa nei Cda, si invitava il Parlamento europeo, la Commissione e gli Stati membri a “elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo tra i Paesi in cui già vige una legislazione in materia, al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l’imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini”.

Mossa furba. Mentre si parla di frutta e verdura piazziamoci anche un bel articolo sugli hamburger. Così votando punti condivisibili si costringe l’assemblea a mandare giù il rospo. È vero che nel testo si parla di matrimonio e non di adozione ma il riferimento velato alla “tutela dei bambini” apre lo scenario a “famiglie” composte da gay e bambini. Ora, qual è il presupposto per questa nuova tipologia di convivenza umana? Il fatto che non è fondamentale la presenza di un padre e una madre per la crescita identitaria del figlio, ma che l’assenza programmata di uno dei due generi è perfettamente surrogata dello stesso sesso. Ogni sesso può fare benissimo le veci dell’altro.

Allora, mi chiedo, perché tutto questo indaffararsi per avere le quote rosa nei Cda e in politica se l’uomo può sopperire benissimo alla mancanza della donna visto che in ognuno dei sessi c’è parte dell’altro? Se l’operazione quote rosa è fatta solo per distribuire il potere tra generi diversi, allora per non creare altre pesanti discriminazioni dovrebbero esserci anche quote color, per distribuire il potere agli immigrati, poi le quote young e le quote senior, quote Buddha, Islam, Cristo, No God… All’infinito. Ci si potrebbe domandare chi pagherà tutti questi consiglieri. Se invece si vogliono introdurre quote rosa per dare visibilità fisica, concreta, alla donna, in quanto solo lei può offrire qualcosa che l’uomo non può fare e pienamente rappresentare, allora non si capisce perché questa preziosità complementare dei due generi non viene reclamata anche all’interno della famiglia. Una Famiglia sarebbe meno importante di un Cda o di un Parlamento?

Massimo Zambelli
www.orarel.com

Fonte: La necessità di quote rosa smentisce le teorie LGBT | UCCR.

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