La (non) opzione della Messa di Natale

Emanuele Fant/Credere | Dic 14, 2017

Molte scuole superiori cattoliche stanno rendendo facoltativa la Messa d’istituto di Natale. È una notizia che non sentirete al telegiornale, ma che anima dibattiti tra insegnanti, studenti e genitori.

Chi applaude alla scelta ricorda che la fede non può mai nascere per costrizione e fa notare che, al momento della Comunione, un intero popolo di ragazzini – che si è guardato intorno perplesso fino a un momento prima – si alza e riceve il Signore senza aver chiaro il valore del gesto.

La seconda fazione non vuole avallare un passo che pare un rischioso «rompete le righe», una rinuncia epocale a un gesto che non è solo una funzione, ma il culmine visibile di un patrimonio di valori che rischia per nostra stessa colpa di tramontare.

Come al solito, non ho nessuna risposta, ma un bel bouquet di questioni, legate insieme dal filo sottile di un’esperienza personale: la mia fede è germogliata frequentando le comunità di fratel Ettore Boschini. Il frate dei poveri, a me e ai miei amici non credenti, imponeva tre rosari per ogni pomeriggio di lavoro, ci invitava a Messe animate senza fine, proponeva processioni in corso Buenos Aires dalle quali poi nessuno poteva scappare. Faceva lo stesso con i malati di mente, con i musulmani, con i giornalisti del Manifesto che lo andavano a intervistare. Non chiedeva adesione, ma presenza al Mistero che muoveva il suo lavoro.

Devo ammettere che è proprio a causa di questa ripetuta imposizione che a un certo punto mi sono sentito soffocare, e ho troncato ogni rapporto con lui. Per un po’ è stato molto liberante, mi ripetevo con fierezza: «Hai fatto bene». Eppure, il giorno in cui la vita quotidiana non mi è sembrata più bastare, dove sono andato a citofonare? Al cancello delle sue comunità per barboni. Chiedevo di essere riammesso a quel contenitore di riti fuori moda che restituivano ai miei giorni un significato universale, e io già ne conoscevo la grammatica principale.

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