La persecuzione dei cristiani nelle aree dell’Autorità Palestinese

Scovando vecchi articoli nel web

di David Raab

Introduzione
La comunità cristiana nelle aree amministrate dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è piccola, ma simbolicamente importante. I circa 35.000 cristiani che vivono in Cisgiordania e i 3.000 che vivono a Gaza (1) rappresentano circa l’1,3% dei palestinesi. Oltre a questi ci sono 12.500 cristiani che vivono a Gerusalemme est.

La percentuale cristiana, però, sta rapidamente diminuendo, e non solo a causa della difficile situazione militare ed economica degli ultimi due anni. Ci sono molti segnali che indicano che la popolazione cristiana viene perseguitata a causa della propria religione. Considerando il contesto delle condizioni dei cristiani negli altri paesi del medio oriente, la situazione e’ molto preoccupante.

La repressione cristiana nel mondo islamico
Nel mondo islamico, i cristiani sono considerati “dhimmi”, categoria tollerata – anche se ritenuta inferiore – e che necessita protezione da parte dell’islam. La “dhimmitudine” e’ parte integrante dell’islam; e’ un “patto di protezione” che interrompe “il diritto dei conquistatori musulmani di uccidere o rendere schiavi ebrei e cristiani, a condizione che questi paghino un tributo” (2).
La vita dei cristiani nei paesi islamici e’ sempre stata difficile, e lo e’ tuttora. In Egitto “solo le scuole musulmane, e non quelle cristiane, ricevono aiuti da parte dello Stato… E’ praticamente impossibile costruire nuove chiese o restaurare quelle vecchie… I cristiani vengono spesso ostracizzati o insultati pubblicamente, e la legge proibisce ai musulmani di convertirsi al cristianesimo…” (3).

L’Arabia Saudita “è uno dei paesi più repressivi nei confronti dei cristiani. Non ci sono chiese in tutto il paese. I lavoratori stranieri rappresentano un terzo della popolazione, e molti di loro sono cristiani.
Per tutto il periodo in cui risiedono in Arabia Saudita (a volte anni), viene proibito loro di mostrare simboli cristiani o Bibbie, e addirittura di incontrarsi pubblicamente per pregare. Alcuni hanno visto le proprie Bibbie messe dentro un tritadocumenti quando sono entrati nel paese” (4).
In Iran “pubblicare testi cristiani e’ illegale e la conversione dall’islam è punibile con la pena di morte. Ai cristiani non viene permesso di testimoniare in una corte islamica quando un musulmano e’ coinvolto e vengono discriminati sul lavoro”

I cristiani nell’Autorità Palestinese
L’islam e’ la religione ufficiale dell’Autorità Palestinese (5).
Inoltre, i gruppi fondamentalisti Hamas e Jihad islamica hanno promosso l’influenza islamica sulla società palestinese.
Ufficialmente, l’ANP dichiara di non discriminare i cristiani, dando queste prove: Natale è riconosciuto come una festività ufficiale; il presidente Arafat presenzia alla messa di Natale e ha dichiarato come suo compito “la protezione dei luoghi sacri cristiani e islamici (6).
Alcuni cristiani occupano posti di rilievo nell’ANP. Ma in pratica, le cose vanno diversamente. Nel sermone di venerdì 13 ottobre 2000, trasmesso in diretta da una moschea di Gaza dalla televisione dell’Autorità Palestinese, il Dottor Abu Halabiya ha dichiarato: “Allah l’onnipotente ci chiede di non allearci con gli ebrei e i cristiani, non provare simpatia per loro, non diventare loro soci, non sostenerli e non firmare accordi con loro” (7).
Inoltre, nessuna legge dell’Autorità Palestinese protegge la libertà religiosa (8). Nonostante abbia detto che “il diritto di tutti i palestinesi di pregare e praticare il proprio credo religioso viene salvaguardato”, un Ministro dell’Informazione dell’Autorità Palestinese ha dichiarato anche che: “Il popolo palestinese e’ governato dalla Sharia (legge islamica)… anche per quello che riguarda le questioni religiose.
Secondo la Sharia, applicata in tutto il mondo islamico, qualunque musulmano che si converte o che dichiara di non credere piu’ nell’islam commette il piu’ grande peccato, punibile con la pena capitale… l’Autorità Palestinese non puo’ tenere una posizione diversa riguardo a questa questione” (9).

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