La persecuzione silenziosa dei cristiani nel mondo (1)

In epoca moderna, i cristiani sono perseguitati in diverse nazioni. Spesso, soprattutto al di fuori dell’Europa. Sono repressi perché considerati portatori di un'”influenza straniera” che si vede come minaccia al potere costituito o alla struttura tradizionale della società. Questo è il caso, ad esempio, del Giappone nel XVII secolo, dove si usava un singolare metodo per scoprire i cristiani: tutti venivano obbligati a calpestare delle immagini sacre, chi si rifiutava era subito arrestato.

Negli ultimi duecento anni circa si è affermato un nuovo tipo di persecuzione, nel quale i responsabili sono stati i propugnatori dell’ateismo, delle filosofie materialiste e della massoneria. Secondo questi gruppi, occorreva “liberare” (con la forza) il popolo dalla religione, che essi consideravano una superstizione che frenava il progresso della società.

Secondo alcune stime, il numero dei cristiani uccisi per la loro fede nel XX secolo supera di gran lunga il numero complessivo che si ha per tutti i secoli precedenti.

Nei paesi musulmani, generalmente ai cristiani è riconosciuta la libertà di professare la loro religione, ma con limitazioni in alcuni paesi. In Arabia Saudita è formalmente vietata ogni religione che non sia quella musulmana; la presenza di stranieri cristiani è tacitamente tollerata, ma essi non possono in alcun modo manifestare la propria fede. Persino il possesso della Bibbia è considerato un crimine.

In generale nei paesi arabi i cristiani sono oggetto, da parte della popolazione musulmana, di forme di discriminazione più o meno gravi, che negli ultimi decenni hanno portato molti di loro a emigrare o a convertirsi all’Islam. La popolazione cristiana è in calo più o meno pronunciato in tutti i paesi del Medio Oriente. La conversione di musulmani al cristianesimo è poi vista come un crimine (apostasia) e, anche nei paesi in cui la legge la consente, i convertiti sono spesso oggetto di minacce e vendette da parte della popolazione.

Un nuovo caso di intolleranza religiosa. Non usa giri di parole Sajan K George, presidente della rete attivista Global Council of Indian Christians (Gcic), per condannare il nuovo caso di violenze contro la minoranza religiosa in Orissa, Stato indiano già noto per il pogrom anticristiano del 2008 in cui sono morte oltre 500 persone. Il fatto risale al mesi di Gennaio scorso, quando due fedeli di una comunità protestante sono stati incarcerati dietro (false) accuse di proselitismo e conversione forzate, in base alla “draconiana” – come la definiscono gli attivisti – Legge sulla libertà religiosa dell’Orissa (Ofra) del 1967, spesso usata per commettere abusi e violazioni.

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