La Polonia piange Glemp il “piccolo Primate” Salvò l’unità della Chiesa

Si definiva «il piccolo Primate», chiamato a succedere ad un autentico gigante della Chiesa come il cardinale Stefan Wyszynski, «il Primate del millennio». Aveva la rara dote dell’umiltà Józef Glemp (morto mercoledì sera all’età di 83 anni), uomo mite che dietro un timido sorriso nascondeva una grande forza di volontà. Ne ha avuto bisogno per guidare la Chiesa polacca per oltre un ventennio caratterizzato da due fasi molto diverse ma entrambe difficili: la prima sotto il peso della dittatura comunista, la seconda segnata dalla secolarizzazione esplosa con l’arrivo della libertà.
Era stato proprio il cardinale Wyszynski, poco prima di morire nel giugno del 1981, a suggerire al Papa il nome di Glemp per la sua successione, dopo averlo avuto al fianco come segretario discreto e fedele. Il neo-arcivescovo di Varsavia deve subito affrontare una prova durissima: il 13 dicembre 1981 il generale Jaruzelski proclama lo stato di guerra mettendo al bando Solidarnosc e incarcerando tutti i suoi maggiori esponenti. La sera stessa il Primate lancia un accorato appello alla nazione perché si astenga da ogni tipo di reazione violenta. Il suo discorso viene interpretato da molti come un invito alla collaborazione col regime ed un segno di arrendevolezza. In realtà Glemp vuole evitare un bagno di sangue ed una guerra fratricida. Le sue omelie rischiano di essere equivocate ma in sua difesa parlano i fatti: su iniziativa personale del Primate nasce il Comitato d’aiuto agli internati e alle loro famiglie.

Quale fosse il suo giudizio sulla situazione me lo spiegò nel 1983, dopo aver ricevuto la porpora. «L’azione della Chiesa non può essere ridotta ad una prospettiva politica. Difendiamo i diritti della verità e della società che non dev’essere umiliata, ma li difendiamo senza cedere all’emotività, ponendoci in una lunga prospettiva». Era convinto che Solidarnosc fosse ormai un’esperienza conclusa e che si dovessero trovare nuove strade, in dialogo con le autorità comuniste. Un’idea un po’ diversa da quella che ha sempre avuto Giovanni Paolo II, strenuo difensore del sindacato di Walesa. «Noi non eravamo coscienti che il comunismo era un colosso dai piedi d’argilla. Invece Giovanni Paolo II l’aveva già capito, prima dell’89», ammetterà con grande onestà intellettuale in un’intervista al nostro giornale (Avvenire del 24 maggio 2006).

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