La probabile condanna dell’islamismo :: Daniel Pipes

di Daniel Pipes
L’Opinione delle Libertà
26 luglio 2013

Pezzo in lingua originale inglese: Islamism’s Likely Doom

Non più tardi del 2012, sembrava che gli islamisti potessero superare le loro innumerevoli differenze interne – settarie (sunniti, sciiti), politiche (monarchici, repubblicani), tattiche (politiche, violente) o riguardanti la loro posizione nei confronti della modernità (salafiti, Fratelli musulmani) – e cooperare. In Tunisia, ad esempio, i salafiti e i Fratelli musulmani hanno trovato un punto d’incontro. Le differenze fra tutti questi gruppi erano reali ma anche secondarie perché “tutti gli islamisti remano nella stessa direzione, verso la piena e rigida applicazione della legge islamica (la Shari’a)”.

Ali Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad in tempi migliori.

Questa specie di cooperazione ancora prosegue in piccola parte, come mostrato da un recente incontro tra un membro del partito al potere in Turchia e il leader di un’organizzazione salafita in Germania. In questi ultimi mesi, però, gli islamisti, di colpo e nella stragrande maggioranza, non fanno altro che litigare tra di loro. Essi costituiscono ancora un unico movimento che condivide obiettivi utopistici affini ed egemonici ma che consta altresì di risorse umane, affiliazioni etniche, metodi e filosofie differenti.

In molti Paesi a maggioranza musulmana sono divampate delle ostilità intestine tra gli islamisti. Ci sono tensioni tra sciiti e sunniti nella rivalità fra l’Iran e la Turchia, anche a causa dei diversi approcci all’islamismo; in Libano, dove si fronteggiano gli islamisti sunniti e sciiti, e gli islamisti sunniti contrastano l’esercito; in Siria, teatro di scontri tra islamisti sciiti e sunniti; in Iraq, tra islamisti sciiti e sunniti; in Egitto, tra gli islamisti sunniti e gli sciiti; e in Yemen, dove i ribelli Houthi sono in lotta contro i salafiti.

Recep Tayyip Erdogan e Fethullah Gülen, un tempo alleati stretti.

Tuttavia, è molto più frequente che i membri della stessa setta combattano tra di loro. È il caso di Ali Khamenei contro Ahmadinejiad, in Iran; dell’Akp contro i sostenitori del movimento Gülen, in Turchia; del gruppo Asaib Ahl al-Haq contro Moqtada al-Sadr, in Iraq; della monarchia contro i Fratelli musulmani, in Arabia Saudita; del Fronte di liberazione islamica contro il Fronte al-Nusra, in Siria; dei Fratelli musulmani, in Egitto, contrari all’obiettivo di Hamas di ingaggiare ostilità contro Israele; dei Fratelli musulmani contro i salafiti, in Egitto; e dello scontro in Sudan tra due ideologi e politici di spicco come Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi. In Tunisia, i salafiti (il gruppo Ansar al-Sharia) combattono un’organizzazione in stile Fratelli musulmani (chiamata Ennahda).

Le differenze apparentemente minori possono assumere un carattere complesso. Basta provare a seguire l’analisi arcana di un quotidiano di Beirut che riguardo agli scontri scoppiati nella città libanese di Tripoli, nel nord del Paese scrive:

Aumentano gli scontri a Tripoli tra i vari gruppi islamisti, divisi tra il movimento politico 8 marzo e la coalizione 14 marzo. (…) Dall’omicidio del capo dell’intelligence libanese, il generale Wissam al-Hassan, vicino alla coalizione 14 marzo, avvenuto in ottobre, i dissidi tra i gruppi islamisti che imperversano a Tripoli rischiano di deflagrare, soprattutto in seguito all’uccisione dello sceicco Abdel Razzak al-Asmar, legato al Movimento islamico libanese al-Tawhid, poche ore dopo la morte di Hassan. Lo sceicco è stato ucciso (…) durante uno scontro armato che è scoppiato quando i sostenitori di Kanaan Naji, una figura islamista indipendente legata al National Islamist Gathering, hanno tentato di prendere il controllo del quartier generale del Movimento islamico libanese al-Tawhid.

Questo schema di spaccature riporta alla mente le divisioni degli anni Cinquanta esistenti tra i nazionalisti pan-arabi. Questi ultimi aspiravano a unificare tutte le popolazioni arabofone, ambizione riassunta nello slogan: “Dall’Atlantico al Golfo Persico”. Ma per quanto il sogno fosse allettante, i leader pan-arabi litigarono quando il movimento acquistò potere, condannando il nazionalismo pan-arabo al punto che alla fine crollò sotto il peso degli scontri caleidoscopici e sempre più capillari. Tra questi ricordiamo:

  • Gamal Abdul Nasser, in Egitto, contro il partito Baath al potere in Siria e in Iraq.
  • Il partito Baath siriano contro il partito Baath iracheno.
  • I baathisti sunniti siriani contro i baathisti alawiti siriani.
  • I baathisti alawiti siriani jihadisti conro i baathisti alawiti siriani pro-Assad.

Omar al-Bashir e Hassan al-Turabi, anche loro in passato sono stati stretti alleati.

E così via dicendo. In effetti, ogni sforzo per formare un’unione araba è fallito – in particolare, la Repubblica araba unita tra Egitto e Siria (1958-1961), ma anche tentativi come la Federazione araba (1958), gli Stati arabi uniti (1958-1961), la Federazione delle Repubbliche arabe (1972-1977), la dominazione siriana del Libano (1976-2005) e l’annessione irachena del Kuwait (1990-1991).

Rispecchiando gli schemi radicati in Medio Oriente, il dissenso esistente tra gli islamisti impedisce loro anche di collaborare. Man mano che il movimento prende slancio e i suoi membri si accostano al potere e, di fatto, governano, i suoi screzi seminano maggiori discordie. Le rivalità nascoste quando gli islamisti languiscono nell’opposizione, emergono quando essi esercitano il potere.

Se dovesse attecchire la tendenza fissipara, il movimento islamista sarà condannato, come il fascismo e il comunismo, a essere nient’altro che una minaccia alla civiltà, arrecando un danno immenso senza mai prevalere. Questo possibile limite al potere islamista, che è diventato visibile solo nel 2013, è motivo di ottimismo ma non di soddisfazione. Anche se le cose sembrano andare meglio rispetto a un anno fa, le tendenze possono rapidamente subire di nuovo un’inversione. Il lungo e difficile compito di sconfiggere l’islamismo resta una priorità.

Fonte: La probabile condanna dell’islamismo :: Daniel Pipes.

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