La questione decisiva il rapporto tra fede e ragione | Commenti | www.avvenire.it

Pubblichiamo ampi stralci del contributo di Stefano Alberto, dal numero di ottobre di «Tracce», rivista internazionale di Comunione e liberazione.

Ora è vero. / Ma è stato così falso / Che continua ad essere impossibile». Don Giussani così commenta questi versi del poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez, citati quali post scriptum per concludere il volume La coscienza religiosa dell’uomo moderno apparso in prima edizione nel 1985: «Quando uno intuisce il Fatto cristiano come vero, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile, nonostante le immagini negative alimentate dai modi angusti in cui esso è stato tradotto nella vita propria e della società».

Queste parole mi sono tornate alla mente riprendendo in mano la Lettera apostolica Porta Fidei, con cui Benedetto XVI indice l’Anno della fede. Se è vero che «la porta della fede (…) è sempre aperta per noi» è altrettanto vero che «capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggiore preoccupazione per le conseguenze sociali culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato». Questo giudizio drammatico, ripreso anche dal cardinale Angelo Scola nella sua recente Lettera pastorale (Alla scoperta del Dio vicino, n. 3), rivela una profonda consapevolezza che, per ripensare e rivivere la fede, occorre innanzitutto uno sguardo realistico, senza facili ottimismi o ingiustificata negatività, alla situazione attuale e alle vere domande che essa urge. C’è ancora posto per la fede non solo nella vita dell’uomo contemporaneo, ma anche nello spazio pubblico? E cos’è la fede, una fede non ridotta a sentimentalismo o a regole di comportamento? Non è un caso che l’indizione dell’Anno della fede sia esplicitamente collegata da Benedetto XVI alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Vaticano II. Nella conclusione del discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, papa Ratzinger ha così riassunto le ragioni della sua importanza: «Il passo fatto dal Concilio verso l’età moderna, che in modo assai impreciso è stato presentato come “apertura verso il mondo”, appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme».

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