La religione di Scalfari: «oppio dei popoli»

«Il tempo delle evangelizzazioni è finito». Ipse dixit. E così dovremo accontentarci di un mix tra varie convinzioni, che non serve a salvare l’uomo nella verità, ma solo a consolarlo nei momenti di difficoltà. Come non pensare che questa sia davvero la religione «oppio dei popoli» di cui in passato ci parlava Marx?
È sempre impressionante leggere quanto scrivono i cosiddetti «laici» a proposito del cristianesimo: sembrano commentatori di avvenimenti di cui non conoscono significati, sintassi e regole. Come se un inesperto di qualunque sport avesse la presunzione di fare la telecronaca di un avvenimento sportivo; lascio a voi immaginare la situazione.
Basterebbe questa semplice citazione del verbo di Barbapapà per convincerci della vanità del suo sproloquio: «il rito diventava subordinato alla pastoralità, cioè al dialogo tra le anime. E Dio perdeva alcuni dei suoi connotati acquistandone altri. Dio perdeva i connotati della nazionalità, perdeva soprattutto l’appartenenza a questa o a quella Chiesa cristiana e perfino a questa o quella religione monoteista. Il Dio trascendente non poteva esser rivendicato come cattolico o luterano o mormone o battista, ma neppure come ebreo, neppure come musulmano. Dio era ecumenico…».
Credo che non valga molto la pena, neanche per un appassionato del dialogo come me, continuare nella citazione di questo campione dei «muti loquaces» che, profumatamente pagato, si bea dei discorsi sulla chiesa dei poveri. Su questo testimone dell’amore al prossimo che passava i suoi momenti di giovinezza in pratiche che disprezzavano quei «poveri» di cui si vuole paladino (come afferma Perna nella sua biografia non autorizzata su Scalfari, biografia che non mi risulta abbia poi dovuto ritrattare). [Riporto alcune righe di Francesco Agnoli sul Nostro, a questo riguardo: «Chi mette a rischio la propria vita, scrive, per salvare qualcuno che sta annegando o per difendere un debole […] non obbedisce a concetti ma agisce sotto la spinta emotiva di pulsioni e di istinti» animali, impersonali, oscuri. Ecco perché ciò che ci muove non può essere l’amore, l’altruismo, il desiderio di santità. Ma solo «la volontà di potenza», quella stessa volontà che Scalfari, come giornalista, afferma di sentire fortemente nella propria vita, nel momento in cui scrive di altri, giudica tutti, si pone al di sopra di ogni cosa.»

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