La violenza delle femministe italiane in due episodi | UCCR

Hai voglia a lamentarsi che oggi il femminismo porta con sé un’aura di negatività e militanza sessantottina che puzza di muffa. Finché si continuano a portare avanti guerre ideologiche contro gli uomini o contro la visione cristiana della donna, la reputazione non cambierà.

Ne sa qualcosa Costanza Miriano (sito web e pagina Facebook), giornalista cattolica, madre di quattro bimbi e moglie “sottomessa” come ama descriversi, autrice di due bellissimi bestseller (Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei) che hanno fatto infuriare il moribondo mondo femminista. Nei suoi libri, sopratutto il primo, fotografa realisticamente la realtà odierna della donna e il fallimento della rivoluzione sessuale che l’ha resa forse più indipendente, ma certamente più triste e sola. La rincorsa ad assomigliare agli uomini, secondo i principi delle sessantottine, ha violentato la originale differenza e unicità della donna. Scrive Costanza: «L’uomo deve incarnare la guida, la regola e l’autorevolezza. La donna deve uscire dalla logica dell’emancipazione e riabbracciare con gioia il ruolo dell’accoglienza e del servizio». E ancora: «E’ ora di imparare l’obbedienza, leale e generosa, la sottomissione. E tra noi ce lo possiamo dire: sotto ci si mette chi è più solido e resistente, perché è chi sta sotto che regge il mondo».

«Le persone intelligenti farebbero meglio a non fare figli», dicono ancora oggi le femministe. La Miriano le critica direttamente: «E’ una forza potente l’istinto materno, quello che certo femminismo si è sforzato di negare. Le donne, quando arrivano alla maternità, magari anche non fisica, si trasfigurano di felicità. Molte altre donne, che continuano a rimandare, magari per bazzecole pratiche e organizzative, questo momento del tuffo coraggioso nella vita -diventare madri- soffrono spesso inconsapevolmente» (“Sposati e sii sottomessa”, Vallecchi 2011, p. 18). A darle ragione è proprio la leader del femminismo radicale, Emma Bonino, abortista, non sposata e non madre: praticamente il sogno di ogni femminista. Per quattro anni ha avuto in affido due bambine ma dopo: «Rimanere sola è stato un dolore immenso. Mi svegliavo al mattino senza che nessuno mi saltasse addosso, tornavo a casa la sera e c’era un silenzio orribile. All’improvviso più nessuno mi faceva sentire indispensabile, buona. Quando le due bambine in affido se ne sono andate, continuare a vivere lì dove ero stata con loro, per me, era uno strazio», ha detto in un’intervista del 2006. «Piango moltissimo, da sola. Mi appallottolo qui e piango. Poi dopo un po’ mi alzo e faccio qualcosa… Di colpo ho capito di non essere più di nessuno: non sono mai stata moglie, mai madre. Sono sempre stata solo una figlia e adesso…».

1) Ma, nonostante l’evidenza, le femministe non si arrendono e continuano la guerra. Intellettualmente e fisicamente. Le intellettuali scrivono libri, l’ultimo uscito è “L’ho uccisa perché l’amavo” di Loredana Lipperini (“Radio Radicale”, “Repubblica”…quel mondo lì, insomma) e Michela Murgia (cattolica adulta che accusa Madre Teresa di Calcutta di aver «interferito con la libertà delle donne», tanto per intenderci). Un libro per sostenere e aggravare il fenomeno del femminicidio dando la colpa al matrimonio e alla visione cristiana della donna. Una tragica realtà, il femminicidio, di cui nessuno però conosce i numeri (ma comunque sembra sia in calo) e che, come dimostrano gli studi, è proprio favorito dal disgregarsi della famiglia mentre le donne sposate sono più protette.

Murgia e Lipperini prendono prevedibilmente di mira, anche loro, la Miriano, accusata di incolpare le donne stesse per le violenze che subiscono e altre nefandezze varie. Ma, ha spiegato la giornalista Raffaella Frullone, «basta aver letto mezza pagina della Miriano per capire che l’accusa è infondata. Irrigidite nel binario unico del dominio non possono o non vogliono comprendere la Chiesa scardina e sovverte la dinamica del potere e del comando per riscrivere la gerarchia in termini di servizio, il più grande non è chi domina ma chi serve, e uomo e donna non hanno ruoli prestabiliti e gerarchicamente differenti, ma due vocazioni che si compensano e si completano». La coppia femminista arriva a ridicolizzare la scrittrice perché ha proposto di intitolare una scuola ad una madre morta «per aver rifiutato di curarsi il cancro». Stanno parlando di Chiara Corbella, che alla terza gravidanza ha scelto di far nascere il suo bimbo prima di affrontare le terapie per curare il cancro di cui si era nel frattempo ammalata. «Non si è rifiutata di curarsi il cancro», ha replicato la Furlone, «ha lottato come una leonessa, è stata dai medici migliori, ha seguito tutte le terapie, ha fatto tutto quello che era umanamente possibile per guarire, tranne sacrificare la vita del suo bambino». «Liquidare la sua testimonianza in questo modo», ha concluso amareggiata, «per giunta in un libro che ha la presunzione di insegnare a trovare le parole giuste per raccontare le donne vittime di violenza, è quanto di più brutale si possa fare nei confronti di una donna che è già morta. Ed è quanto di più eloquente possa esprimere quel femminismo declinato in battaglie e diritti, che nella presunzione di rendere la donna libera vorrebbe impedirle di abbracciare la sua vocazione più autentica soltanto perché non ha nulla da rivendicare».

2) Se questa è dunque la violenza intellettuale delle femministe, non mancano episodi di violenza fisica di chi invece ha scelto la battaglia sul campo (quelle che accusano Wikipedia perché divide in maschie e femmine o bruciano le Barbie color rosa legate su un crocifisso).  Nel maggio scorso, mentre manifestavano pacificamente (con canti e preghiere) contro l’aborto davanti alla clinica Mangiagalli di Milano, un gruppo di persone sono state aggredite da un manipolo di femministe che hanno cercato di boicottare l’iniziativa, spezzando i cartelli e le croci che i manifestanti tenevano in mano. Sono i membri del comitato nazionale “No194” e dell’associazione “Ora et labora in difesa della vita”, più altri cittadini che si sono uniti a loro. «Vi spacchiamo tutto, gridavano le donne, per continuare con insulti irripetibili e con bestemmie», ha raccontato Pietro Guerini, presidente nazionale del comitato “No194″ (www.no194.org). Tutto è finito quando un medico si è affacciato e le ha sgridate per il baccano che stavano facendo: «L’intervento le ha zittite – continua Guerini – tanto è vero che dopo un quarto d’ora se ne sono andate: è bastato che si sentissero mollate dalla società civile su cui poggiano perché crollassero». Sono partite in ogni caso denunce per minacce e vilipendio. «Siamo presenti in ogni provincia italiana e molti di noi dicendo il rosario fuori dagli ospedali hanno incontrato donne che stavano andando ad abortire e che vedendoci hanno cambiato idea», spiega Guerino. Un fenomeno che in America ha già salvato migliaia di bambini.

«Ho conosciuto delle femministe vere, dure e pure, quelle della prima ora, le madrine della liberazione sessuale e dell’aborto», ha scritto Costanza Miriano. «Altro che donne liberate, emancipate, autonome. Non ho mai visto persone più fragili e spaventate dalla solitudine, soprattutto quando gli anni della giovinezza erano ormai lontani». E questi episodi lo dimostrano perfettamente.

La redazione

Fonte: La violenza delle femministe italiane in due episodi | UCCR.

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