L’assurda crociata contro le croci | Giuliano Guzzo

Chi ha paura delle croci? Dinnanzi ai propositi dei soci di Mountain Wilderness, ennesima sigla ambientalista –  a proposito, ma quante ce ne sono? – è una domanda che assume purtroppo senso ed attualità. A detta di lorsignori, infatti, la diffusa presenza delle croci sulle vette andrebbe scoraggiata giacché queste sarebbero un esempio di chi vuole «imporre aggressivamente convinzioni religiose». «Siamo convinti – hanno aggiunto questi cervelloni – che le montagne non abbiano bisogno di crocifissi e madonne per invitarci a pregare» (L’Adige, 9/4/2013, p. 19). Se questa non è palese cristianofobia camuffata da ambientalismo, amici, ditemelo voi che cos’è.

Sì, perché se si vuole tutelare davvero la montagna vi sono tutta una serie di realtà minacciose per la natura – penso a taluni impattanti impianti sciistici, alle valli tramutate in luna park, ai gipponi che sgommando liberamente sui sentieri sputano veleno e sollevano polvere, per la gioia di chi passeggia – cui andrebbe posto rimedio. Le croci, viceversa, non fanno male a nessuno. E non calpestano alcun principio di laicità come ha ribadito, fra l’altro, pure la Corte Suprema degli Stati Uniti rovesciando una sentenza che ordinava la rimozione di una croce innalzata in California, nel deserto del Mojave, in memoria dei caduti della Prima Guerra Mondiale.

Non so voi, ma la presenza di una croce in cima alle montagne mi dona sempre un sollievo speciale, profondo, superiore a quello della più borraccia più fresca. Perché quando, complice la fatica, il fiato ormai scarseggia, sono solo la croce e l’Uomo crocifisso a parlarti, a condividere con te la gioia di quel panorama così inaspettatamente limpido e maestoso. Un panorama che talvolta ti fa sentire più in cielo che a terra, più a tuo agio nell’infinito che in quel pur confortante insieme di mura che troviamo al nostro ritorno e che chiamiamo casa. E la croce, in tutto questo, è splendida co-protagonista: semplice, muta, essenziale. Assurdo, dunque, che ora non se ne vogliano più.

Bei tempi quando, anziché mobilitarsi per rimuoverle, si faceva praticamente a gara a metterle, le croci sulle montagne, dato che non facevano paura, tutt’altro. Racconta Mario Rigoni Stern (1921 – 2008) che, dopo una lunga contesa – iniziata addirittura, pensate, nel settembre 1910 – fra Asiago e Borgo circa l’effettiva “proprietà” di Cima XII (2341 m.) e della sua croce, il tutto si risolse allorquando i paesani di Borgo, nel 1973, ne innalzarono una seconda e «il loro poeta scrisse:” De le do Crose: una/l’è la nostra, del Borgo/l’altra la è la vostra/cari fradei de Asiago”» (Amore di confine, Einaudi 1986, p. 170). In quegli anni, peraltro relativamente recenti, una croce di riferimento era addirittura un orgoglio. Bei tempi davvero.

Fonte: L’assurda crociata contro le croci | Giuliano Guzzo.

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