Le confessioni di un ex miliziano dell’Isis | ZENIT – Il mondo visto da Roma

Parla un australiano convertito all’Islam, arruolatosi tra le fila dello Stato islamico e poi scappato con un bagaglio di terrore. Sono 3.400 i ‘foreigh fighters’ occidentali nell’Isis

Roma, 16 Febbraio 2015 (Zenit.org) Federico Cenci | 437 hits

Hanno ceduto alle sirene propagandistiche dell’Isis credendo di poter vivere un sogno, ma si sono presto accorti di esser scivolati in un terribile incubo. È il destino che accomuna tanti foreign fighters, gli occidentali che aderiscono volontari alla “guerra santa” che le milizie dell’autoproclamato califfo Abu Bakr al Baghdadi stanno conducendo con estrema efferatezza in Medio Oriente.

Secondo il New York Times sono oltre 12mila gli stranieri arruolati all’ombra della bandiera nera dell’Isis. Di questi, 3.400 occidentali e almeno 300 giunti dalla Germania, Paese in cui – come in tanti nel Nord Europa – si annidano oramai roccaforti islamiche che sfuggono a quel processo di integrazione che, sebbene incensato nella teoria, si rivela di difficile applicazione pratica. Sempre più spesso, inoltre, sono giovani occidentali autoctoni che, dopo essersi convertiti all’Islam, decidono di imbracciare le armi al fianco degli jihadisti dello Stato islamico.

Nei giorni scorsi il quotidiano tedesco Sueddeutsche Zeitung ha raccolto le testimonianze di alcuni di questi islamisti nordeuropei che, pentiti della loro scelta, sono scappati dal Medio Oriente e tornati in Germania portandosi dietro un ricordo carico di orrori. Hanno raccontato che, appena arrivati al fronte, i miliziani hanno sequestrato loro documenti e cellulari, dopo di che li hanno sottoposti a brutali prove di coraggio, come uccidere innocenti. Ora che sono tornati alla loro vecchia routine, vivono con l’angoscia di essere individuati e puniti. Ma possono ritenersi dei privilegiati per esser riusciti a scappare dal fronte, poiché chi prova a farlo viene immediatamente ucciso.

La stessa inquietudine la si sente vibrare anche nella voce di Abu Ibrahim, un australiano convertito all’Islam e che per questo ha cambiato il proprio nome di battesimo. Intervistato da Cbs News, l’uomo ha raccontato cosa l’ha spinto a unirsi all’Isis, come è riuscito a compiere il suo torvo desiderio e come, infine, è riuscito a travalicare i confini del cosiddetto Califfato e far ritorno in Australia.

Ibrahim ha detto di essersi arruolato nell’Isis perché voleva vivere in una regione governata in base ai principi dell’Islam. Partito evidentemente agli albori dello Stato islamico, prima che i jihadisti iniziassero a pubblicare in internet le immagini delle loro esecuzioni, l’uomo australiano ha detto di essersi pentito della sua scelta dopo aver assistito alla decapitazione di ostaggi occidentali “non combattenti e quindi innocenti”. Ha così maturato l’idea di ripartire. “Non condividevo – ha spiegato – questo tipo di politiche adottate” dallo Stato islamico.

Pur approvando la pena di morte, Ibrahim ha assicurato nell’intervista che “vedere qualcuno morire non è cosa che chiunque vorrebbe vedere”. L’uomo, che ha circa 30 anni, ha spiegato di aver assistito a “crocifissioni” e alla lapidazione di una coppia di presunti adulteri. Ma non è stato questo che lo ha sconvolto. “È crudele, è vero – dice – ma questa è la sharia”.

Ha raccontato inoltre della presenza degli hisbah, una sorta di polizia religiosa con il compito di far rispettare il codice islamico. Una donna con il volto non completamente velato, un uomo con la barba non abbastanza lunga e una persona che ascolta musica sono tutti e tre passibili di punizione sotto la sharia.

La quale ha abbacinato Ibrahim, che è altresì rimasto positivamente colpito dal modo in cui lo Stato islamico provvede all’alloggio e al pagamento dei suoi miliziani. “Inizialmente erano 50 dollari al mese di stipendio – ha spiegato – ma durante l’inverno si arrivava a 100 dollari, per poter comprare abiti pesanti o articoli per la casa”. E ha inoltre detto: “Viene fornito il riscaldamento per ogni casa e le coppie hanno un’abitazione tutta per loro”.

Queste concessioni non sono però servite a mitigare il malessere provocato dal clima di terrore che non risparmia nemmeno gli innocenti, soprattutto gli ostaggi occidentali che non sono in Medio Oriente per combattere. “Ero diventato qualcos’altro – la riflessione di Ibrahim – e quindi non era più giustificato che io stessi lontano dalla mia famiglia”.

Così ha deciso di fuggire assumendosi dei gravi rischi: “Le restrizioni per chi vuole andar via ti fanno sentire come in una prigione – ha affermato -. Non puoi lasciare il Paese”. Come lui, tanti altri foreigh fighters scappano terrorizzati. “Molti, quando arrivano, sono entusiasti di quello che hanno visto online o su Youtube – ha dichiarato -. Vedono qualcosa di molto più grande di quanto sia in realtà. Non sono tutte parate militari o vittorie”.

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