Le contraddizioni della Corte Europea sulla legge 40 | Corrispondenza romana

(di Alfredo De Matteo) Oltre alle bugie anche i compromessi sui temi etici hanno le gambe corte: la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso di una coppia fertile portatrice sana della fibrosi cistica cui era stato negata la possibilità di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni (un test genetico che si effettua su una cellula dell’embrione dopo tre giorni dalla fecondazione per verificare eventuali malattie genetiche), secondo quanto prescrive la legge 40/2004.

L’argomentazione addotta dai due coniugi romani riguarda la violazione dell’articolo della Convenzione dei diritti umani che garantisce il rispetto della vita privata e familiare della coppia, in quanto obbligati dalla legge a seguire la via del concepimento naturale e dell’eventuale aborto.  Un gioco da ragazzi per i giudici di Strasburgo rilevare la clamorosa incoerenza del sistema legislativo italiano, secondo cui non è possibile accedere alla tecnica della fecondazione assistita se la coppia che ne fa richiesta ha un’alta probabilità di trasmettere una malattia genetica alla prole, mentre le è consentito accedere alla cosiddetta interruzione volontaria della gravidanza qualora, a seguito di un’amniocentesi, venisse riscontrata una malattia genetica nell’embrione. In altre parole, per la legge italiana è ammessa l’uccisione di un essere umano innocente con l’aborto volontario, disciplinato dalla legge 194/1978, anche ad uno stadio molto avanzato del suo sviluppo intrauterino, mentre ciò non è consentito se questi ha poche ore di vita!

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