Le “periferie miserabili” e il sangue dei cristiani

di Massimo Introvigne

Il Center for the Study of Global Christianity, il più autorevole istituto mondiale di statistica religiosa che ha sede a South Hamilton, presso Boston, ha rilasciato il 2 gennaio il suo atteso rapporto statistico annuale per il 2014. L’istituto, fondato da David Barrett (1927-2011), il maggiore specialista di questo settore del secolo XX, è ora diretto dal suo successore Todd Johnson, che La nuova Bussola quotidiana ha recentemente intervistato in tema di cristiani uccisi nel mondo per la loro fede  e che in dicembre è stato a Roma per un convegno, in occasione del quale è stato pure ricevuto con altri studiosi da Papa Francesco.

Forse in omaggio al Papa, il rapporto del 2014 include una nuova categoria: gli «slum dwellers», gli abitanti di «periferie miserabili» sul tipo delle favelas brasiliane o delle vilas miserias argentine. Il numero di queste persone è salito da settecento milioni del 2005 a un miliardo e cento milioni del 2014. Un abitante del Pianeta Terra su sei vive in uno «slum», e il numero sale nel mondo di oltre centomila unità ogni giorno. Su sette miliardi e 207 milioni di persone, tre miliardi e 820mila, più della metà, vivono nelle città. A causa anche delle miserabili condizioni degli «slum», nonostante le grandi somme profuse nella lotta all’analfabetismo, gli analfabeti o semi-analfabeti sono 942 milioni, mentre nel 1970 erano 836 milioni, dunque il numero è cresciuto.

Johnson nota che, nonostante gli appelli di Papa Francesco – il quale, peraltro, parla di «periferie» in senso esistenziale, e non solo in senso materiale, ma certo alle periferie miserabili dedica grande attenzione -, gli «slum» sono raggiunti in modo insufficiente dalla missione cristiana. Solo un missionario cristiano ogni cinquecento lavora in uno «slum», e un sacerdote o pastore protestante ogni diecimila esercita il suo ministero in queste aree. Le «periferie miserabili» delle megalopoli secondo Johnson rappresentano la maggiore sfida pastorale per la Chiesa nel prossimo decennio.

Un altro dato di rilievo è la crescita dell’area che Johnson chiama dei «cristiani indipendenti». Si tratta di una categoria che si presta certamente a critiche e controversie, perché l’istituto di Johnson vi include tutti coloro che fanno un qualche riferimento a Gesù Cristo e non sono né cattolici, né protestanti, né ortodossi, né anglicani, né pentecostali. La categoria è un po’ eterogenea, perché mette insieme le sempre più numerose comunità locali «non denominazionali», che rifiutano di aderire a qualsiasi Chiesa o comunità più grande, e nuovi movimenti religiosi di origine cristiana come i mormoni o i Testimoni di Geova. Terminologia a parte, i «cristiani indipendenti» sono oggi 368 milioni, ancora relativamente poco diffusi in Europa (14 milioni e mezzo) ma molto rilevanti in Asia (132 milioni), Africa (102 milioni) e America del Nord (69 milioni).

Tra le grandi religioni i cristiani mantengono saldamente il primo posto: sono due miliardi e 376 milioni, contro un miliardo e 985 milioni del 2005. Il dato potrebbe essere un po’ più basso se non considerassimo cristiani – a differenza di Johnson – i membri di alcuni nuovi movimenti religiosi di origine cristiana, ma siamo comunque certo ampiamente sopra ai due miliardi. Seguono i musulmani, un miliardo e 661 milioni, anche loro cresciuti rispetto al miliardo e 291 milioni del 2005, ma ormai meno numerosi dei cristiani in tutti i continenti esclusa l’Asia, Africa compresa. Va però segnalato che, in proporzione al numero dei membri, la crescita annua dei musulmani (+1,8%) è superiore a quella dei cristiani (+1,3%), principalmente per ragioni demografiche: molto semplicemente, i musulmani fanno più figli. Meno numerosi dei musulmani sono gli induisti – un miliardo – e i buddhisti, 514 milioni. Tra le altre religioni i Sikh (26 milioni) sono quasi il doppio degli ebrei (quattordici milioni). Spicca sempre la sproporzione fra il piccolo numero degli ebrei – meno numerosi ormai anche dei mormoni e dei Testimoni di Geova (entrambi con circa quindici milioni di fedeli) – e la loro grande importanza storica, culturale e politica.

Gli atei sono fermi da un quarto di secolo alla stessa cifra mondiale, che oscilla fra i 135 e i 137 milioni, dopo essere scesi dal picco storico dei 169 milioni registrato nei decenni 1960-1970 in seguito all’espansione dell’impero sovietico, il più grande diffusore dell’ateismo nella storia umana. Se questa può essere una notizia confortante per i credenti, lo è di meno sapere che cresce il numero di coloro che – pur non dichiarandosi atei – non hanno praticamente alcun contatto con le forme organizzate di religione. Dai 448 milioni del 2005 costoro sono saliti ai 514 milioni del 2014, e molti sono concentrati precisamente nelle «periferie miserabili».

Tra i cristiani, i cattolici mantengono una sicura maggioranza. Sono un miliardo e 220 milioni, e ogni giorno la cifra sale di 37.000 unità. Nel 2005 erano un miliardo e 44 milioni. Più rapidamente dei cattolici crescono i pentecostali – quarantamila membri in più al giorno, la maggiore crescita fra tutte le religioni mondiali in rapporto al numero dei fedeli (+2,3% all’anno) -, anche se il loro totale, di 631 milioni secondo Johnson, va fatto scendere a 516  milioni, dal momento che nei 631 milioni lo studioso americano include anche 115 milioni di carismatici cattolici (non tutti affiliati al Rinnovamento dello Spirito), contati dunque due volte, sia tra i cattolici sia fra i pentecostali. I protestanti sono 441 milioni – ma anche qui la cifra include quei pentecostali e carismatici che si riconoscono in una delle tradizioni protestanti storiche -, gli ortodossi 280 milioni, gli anglicani – non più tutti in comunione con Canterbury dopo le recenti divisioni su ordinazione delle donne e omosessuali – 92 milioni.

Concludiamo con il tema su cui La nuova Bussola Quotidiana aveva intervistato nello scorso novembre il professor Johnson: i cristiani uccisi per la loro fede. Va sempre ricordato che Johnson conta i cristiani uccisi «in situazione di testimonianza», compresi quelli che perdono la vita perché si rifiutano di arruolarsi in guerre immorali, contestano per ragioni morali legate alla loro fede vari tipi di «signori della guerra» o si oppongono al narcotraffico. Quando è difficile dire se le vittime lo siano per ragioni religiose, politiche o tribali Johnson alloca solo una quota del numero totale dei morti alla religione, secondo un algoritmo che ci ha spiegato lo scorso novembre. Il 2013, a causa delle condizioni migliorate nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, ha visto qualche miglioramento: i cristiani uccisi sono scesi da 105.000 a una cifra che potrebbe attestarsi intorno ai 70.000. Le condizioni peggiorate in Africa negli ultimi mesi giustificano secondo Johnson una proiezione per il 2014 a 98.500 cristiani uccisi.

Nel 2011, traducendo i numeri di Johnson secondo un criterio temporale, parlavo di un cristiano ucciso per la sua fede ogni cinque minuti. Nel 2014 – stando sempre a Johnson – si ucciderà un cristiano ogni cinque minuti e venti secondi. Nel 2013 – un anno particolarmente «moderato» in termini di assassini di cristiani – ha perso la vita per la fede un cristiano ogni sette minuti e mezzo. Anche i piccoli miglioramenti sono apprezzabili. Ma sempre di una strage si tratta: e della più grande e insieme più trascurata emergenza umanitaria mondiale.

Fonte: Le “periferie miserabili” e il sangue dei cristiani.

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