Legge anti-moschea? L’islam s’è già comprato Milano| La Nuova Bussola Quotidiana

di Luigi Santambrogio 03-03-2015

Due notizie, tutte e due cattive, a conferma  di quanto la stupidità della politica e il cinismo della finanza a volte si alleino per consegnarci mani e piedi all’islam. In una sottomissione incosciente quanto ipocrita. A Milano un intero quartiere, il più avveniristico della metropoli con i suoi grattacieli a specchio, passa nelle mani degli emiri del Qatar, il Paese accusato di finanziare lo Stato Islamico, senza che nessun partito (a destra come a sinistra) senta il dovere di dire alcunché. Sempre nel capoluogo lombardo, il consiglio regionale approva una legge che se applicata metterebbe fuori legge le chiese cristiane e la libertà di culto di tutte le religioni. Solo per la soddisfazione di impedire la costruzione di una moschea. Insipienza pari soltanto a quella del celebre marito imbecille che per far dispetto alla moglie decide di evirarsi. La legge è firmata dal centrodestra a guida legista (tendenza salviniana) della Lombardia che poi s’é zittito sull’operazione Qatar.

Porta Nuova è il quartiere di recente costruzione, ci sono il grattacielo più alto d’Italia, quello dell’Unicredit con la Tower (che supera la Madonnina del Duomo) disegnata da César Pelli, il Diamante di Lee Polisano, con la punta che di notte cambia colore, il Bosco verticale progettato da Stefano Boeri e piazza Gae Aulenti, diventata la nuova agorà dei milanesi. In tutto, 25 palazzi e 8 grattacieli con un valore complessivo di mercato di oltre 2 miliardi di euro. Un tripudio di archistar, meraviglie futuriste e affari da capogiro per questa Défense alla meneghina. Tra le società che già l’hanno scelta come sede ci sono: Nike, Google (palazzo Ziggurat di William McDonough) e delle migliori griffe della moda. Tutto questo è diventato proprietà al 100 per 100 del fondo sovrano del Qatar (già ne aveva il 40%) creato dieci anni fa per gestire le immense rendite petrolifere dell’emirato. Oggi il suo patrimonio supera i 60 miliardi di dollari ed è composto soprattutto da asset immobiliari.

Da tempo l’emirato (poco più grande della Basilicata), dove governa l’islam wahabita, radicale e fondamentalista, si dedica a uno shopping massiccio in Italia: a Milano la famiglia reale al Thani ha comprato l’Hotel Gallia, in Sardegna s’è pappata l’intera Costa Smeralda, poi la maison Valentino per 700 milioni di euro, il marchio M Missoni e per 160 milioni è entrata nel gruppo alimentare Cremonini. Tutte queste operazioni fanno dell’Italia il secondo Paese al mondo per presenza del fondo qatarino, dopo il Regno Unito: a Londra, possiede i grandi magazzini Harrods, grattacieli sede di banche, immobili e lo Shard disegnato da Renzo Piano. Nel portafoglio islamico figurano tra l’altro il 17 per cento di Volkswagen di cui il Qatar è il secondo azionista, assieme a quote rilevanti in Barclays e nel Crédit Suisse, quote in General Motors, nel Banco Santander e al London Stock Exchange. In Francia, possiede la squadra del Paris Saint Germain, palazzi e store sugli Champs Elysée, hotel a cinque stelle, quote in grandi società. Insomma, mezza Europa è già stata finanziariamente colonizzata dalla petrolmonarchia del Golfo.

L’escalation degli emiri di Doha continua, nonostante la responsabilità accertata nel sostegno ai Fratelli Musulmani in Egitto, ai gruppi jihadisti in Mali e al fronte anti-Assad in Siria, comprese le frange più estreme, fino alle accuse esplicite lanciate da Giordania e Egitto di finanziare e sostenere militarmente il Califfo nero in Iraq. Ecco, a questi signori Milano ha venduto il cuore commerciale e un pezzo del suo skyline, «una zona strategica», avverte Nomisma, «in una città rilevante del Paese, non di un’area relegata solo al comparto turistico».  Si sa, banche, società e gruppi finanziari fanno il loro mestiere e nell’economia globalizzata è difficile se non impossibile mettere barriere a conquiste e scalate. Ma pure i politici dovrebbero fare il loro mestiere, che è quello di vigilare che lo sviluppo avvenga nella legalità. Dalla lotta al terrorismo e dalla difesa della sicurezza nazionale neppure l’economia e la finanza dovrebbero essere esentate. Condannare le atrocità del Califfato e poi tacere sulle sue fonti di finanziamento è da aspiranti suicidi, prima che da tartufi imbelli.

La seconda cattiva notizia, quella del pasticciaccio brutto della legge regionale anti-moschee non è meno preoccupante. Un clamoroso autogol nel segno dell’improvvisazione amministrativa e a onore solo della cecità politica. Le nuove norme prescrivono che per costruire nuovi luoghi di culto dovranno prima essere ascoltati i comitati di quartiere, indetti referendum, rispettare rigidi vincoli urbanistici come una distanza minima dagli altri luoghi di culto e costruire parcheggi adiacenti alla chiesa o alla moschea con tanti posti quanti sono quelli all’interno del locale. Divieti che impongono di fatto un regime restrittivo nei confronti di tutti gli edifici religiosi, più un esagitato segnale a scopi elettorali dopo l’emozione dei fatti di Parigi, che una ragionevole prevenzione del fondamentalismo islamico. Certo, così anche la grande moschea che il Comune di Milano vorrebbe edificare su un’area periferica sarebbe bloccata, ma dopo l’acquisto di Porta Nuova, non è più un problema. Gli sceicchi del Qatar potrebbero spostarla più in centro, con un bel minareto e muezzin incorporato tra il grattacielo Unicredit e gli eleganti edifici del Bosco in città. Il palazzo della Regione Lombardia è pochi metri da lì: qualcuno avverta il governatore Maroni.

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