L’Egitto dopo Morsi: gioia e preoccupazione :: Daniel Pipes

di Daniel Pipes
L’Opinione delle Libertà
11 luglio 2013

Pezzo in lingua originale inglese: Egypt after Morsi: Joy and Worry

La destituzione di Mohamed Morsi in Egitto mi rallegra e mi preoccupa allo stesso tempo. La gioia è facile da spiegare. Ciò che sembra essere stata la più grande manifestazione politica della storia ha sradicato gli arroganti islamisti egiziani che hanno governato con la semitotale noncuranza se non per consolidare il proprio potere. L’islamismo, mosso dall’obiettivo di applicare una legge islamica medievale e considerato un vivace movimento utopico radicale nel mondo odierno, ha incassato un rifiuto senza precedenti. Gli egiziani hanno mostrato di avere uno spirito illuminato.Se ci sono voluti diciotto giorni per rovesciare Hosni Mubarak nel 2011, solo quattro ne sono serviti per destituire Morsi. Il numero dei manifestanti morti negli scontri di piazza è sceso da 850 a 40. I governi occidentali (in particolare, l’amministrazione Obama) che pensavano di essersi schierati dalla parte della storia aiutando il regime dei Fratelli musulmani si sono ritrovati appropriatamente imbarazzati. La mia preoccupazione è più complessa. I precedenti storici mostrano che la schiavitù dell’utopismo radicale dura fino a quando non sopraggiunge il disastro.

Abdul Fatah al-Sisi che annuncia la destituzione di Morsi.

Su carta, il fascismo e il comunismo sembrano accattivanti; solo le realtà di Hitler e Stalin screditarono ed emarginarono questi movimenti. Nel caso dell’islamismo, questo stesso processo è già iniziato; anzi, la repulsione è cominciata con assai meno distruzione rispetto ai precedenti due casi (l’islamismo non ha ancora ucciso decine di milioni di persone) e con maggiore velocità (anni e non decenni). Nelle ultime settimane, l’islamismo ha incassato tre rifiuti con le manifestazioni di protesta che hanno scosso la Turchia, con la clamorosa vittoria di un candidato meno oltranzista nelle elezioni iraniane del 14 giugno e ora con la confutazione di massa senza precedenti dei Fratelli musulmani nelle piazze egiziane. Io, però, temo che la rapida destituzione militare del governo dei Fratelli musulmani scagionerà gli islamisti. L’Egitto è una baraonda. Le relazioni fra gli elementi favorevoli e contrari ai Fratelli musulmani sono già diventate violente e rischiano di degenerare. I copti e gli sciiti vengono uccisi solo a causa della loro identità. La Penisola del Sinai è in preda all’anarchia. La leadership militare incompetente e avida, che ha governato l’Egitto da dietro le quinte fra il 1952 e il 2012, è di nuovo in carica. Ma i problemi peggiori sono quelli economici.

Folle oceaniche in Egitto questa settimana.

Le rimesse dei lavoratori stranieri sono diminuite da quando sono scoppiati i tumulti nella vicina Libia. Gli atti di sabotaggio contro il gasdotto che fornisce gas naturale alla Giordania e a Israele hanno posto fine a quella fonte di reddito. Il turismo è ovviamente crollato. Le inefficienze implicano che in questo Paese produttore di idrocarburi manchi il carburante per utilizzare i trattori a pieno regime. Le fabbriche dell’era socialista sfornano prodotti dozzinali. L’Egitto importa circa il 70 per cento delle sue derrate alimentari e sta per esaurire velocemente la valuta pregiata per pagare frumento, oli commestibili e altri prodotti di base. La fame incombe. Salvo che gli stranieri non sovvenzioneranno l’Egitto con decine di miliardi di dollari di aiuti l’anno in un futuro indefinito, prospettiva questa altamente improbabile, la piaga della fame sembra inevitabile. E già, le famiglie indigenti hanno ridotto il consumo di cibo. A incombere su tutti questi pericoli, il fatto che il governo etiope abbia sfruttato qualche settimana fa la debolezza dell’Egitto per iniziare la costruzione di una diga sul Nilo Azzurro che potrebbe comportare una riduzione della quantità di acqua fornita all’Egitto da 55 miliardi di metri cubi a 40 miliardi, una mossa che avrà delle incalcolabili conseguenze negative per la vita del Paese definito da Erodoto “Dono del Nilo”. A causa di questi disastri economici, l’intermezzo durato un anno del governo islamista di Morsi and company, che ha fatto tanto per esacerbare questi problemi, potrebbe essere dimenticato – e chi erediterà il governo, si assumerà la responsabilità.

Adly Mansour, il presidente ad interim.

In altre parole, le tribolazioni presenti e future degli egiziani potrebbero essere del tutto inutili. E chi lo sa, magari in preda alla disperazione essi potrebbero ricorrere agli islamisti tirandoli fuori dalla loro futura situazione difficile. Allo stesso modo, la breve esperienza al potere dei Fratelli musulmani implica che altre popolazioni musulmane non ci guadagneranno come dovrebbero dalla terribile esperienza dell’Egitto.

Su un altro argomento, Lee Smith dell’Hudson Institute ipotizza che i nuovi governanti dell’Egitto riterranno che una breve guerra con Israele sia l’unico modo per “riunificare il Paese e far guadagnare all’Egitto denaro da una comunità internazionale desiderosa di negoziare la pace” e per “ricondurre l’Egitto a occupare la sua precedente posizione di rilievo” in Medio Oriente. Una guerra del genere probabilmente non raggiungerebbe nessuno di questi obiettivi – le forze armate egiziane potrebbero essere sconfitte pesantemente, lasciando il Paese ancora più povero e più debole – ma non si può escludere questa possibilità. I capi militari egiziani si sono lanciati molte volte in passato in imprese folli contro Israele. In breve, la mia gioia per l’uscita di scena di Morsi è più che compensata dalla mia preoccupazione che le lezioni del suo malgoverno non saranno apprese.

Fonte: L’Egitto dopo Morsi: gioia e preoccupazione :: Daniel Pipes.

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