Lettere dall’inferno della Siria

di Giorgio Bernardelli

Non sono solo i numeri sempre più terribili a dire che il dramma della Siria ha superato una nuova soglia dell’orrore. La stima diffusa in questi giorni dal Commissario Onu per i Diritti umani Navy Pillai parla ormai di 60 mila vittime dal marzo 2011. Ma sono le testimonianze sulla vita  quotidiana in zone anche lontane dai fronti più caldi del conflitto a dare la misura reale di quanto sta succedendo.

L’ultima in ordine di tempo è una lettera scritta dal vescovo siro-ortodosso Eustathius Matta Roham, metropolita di Jazirah e dell’Eufrate, cioè della parte siriana della Mesopotamia, la zona più vicina ai confini con la Turchia e con l’Iraq. Un’area settentrionale del Paese che finora era stata toccata principalmente dal flusso di profughi in fuga dalle zona dove si combatte. Ma dall’inizio di novembre i ribelli hanno preso il controllo anche di Ras al-Ayn, la città al confine con la Turchia. E la guerra si fa sentire maggiormente anche qui. Il vescovo Matta Roham scrive da Hassake, che si trova ad appena un’ora da Ras al-Ayn. Parla delle distruzioni avvenute là durante i combattimenti. E la preoccupazione è grande.

“La regione di Jazirah ha accolto un gran numero di famiglie sfollate, che sono venute a vivere nelle città di Hassake e Kamishly – spiega -. In queste due città la popolazione è quasi raddoppiata. Preghiamo perché almeno Hassake e Kamishly possano restare fuori dal conflitto, per evitare una catastrofe umanitaria assoluta”.

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