LETTURE – Quei cattolici “materialisti” che han fatto l’Italia del nord

Danilo Zardin  – martedì 13 novembre 2012

Del grande padre della Chiesa Giovanni Crisostomo si tramanda un pensiero fulminante: “Dio nessuno l’ha mai visto”, solo “il Figlio unigenito ce lo ha rivelato”, come recita il Vangelo di Giovanni. Egli ne ha mostrato il volto attraente – scrive Crisostomo – perché permise a quanti gli credettero “non solo di vederlo, ma anche di toccarlo, anzi di assaporarlo, di mordere la sua carne”. È esattamente in questi termini che ne riferisce la poetessa Cristina Campo in Sensi soprannaturali, ora incluso nella raccolta postuma apparsa con il titolo Gli imperdonabili (Adelphi, 1987). Da qui la citazione è ripresa da Giorgio Cracco, nell’introduzione al recente volume di Olschki Del visibile credere. Pellegrinaggi, santuari, miracoli, reliquie.

Il linguaggio dell’antico maestro della fede fiorita nell’Oriente cristiano dei primi quattro secoli è intriso di una crudezza a cui non siamo più abituati. La materialità a cui rimanda sta agli antipodi del politicamente corretto applicato ai canoni del discorso religioso contemporaneo. Sarebbe però del tutto riduttivo abbassare a irruente esagerazione fantastica la dimensione carnale dell’attaccamento al sensibile in cui i vescovi-filosofi delle origini inscrivevano il loro appassionato cristocentrismo, perfettamente eucaristico e sacramentale. La radicalità oltranzista del loro desiderio di comunione con il mistero del Dio rivestito di sembianze totalmente umane è sulla stessa lunghezza d’onda della “follia” amorosa della mistica di ogni tempo.

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