L’Europa fa harakiri economico ed apre alla finanza islamica | No Cristianofobia

Il mondo della finanza sta preparando il cappio al collo dell’Occidente. Non che i moniti siano mancati, tutt’altro. Addirittura uno dei fondatori delle banche islamiche, Sayyed Qutb, ideologo dei Fratelli Musulmani, ha lanciato un avvertimento estremamente chiaro, dicendo che questo tipo di finanza, del tutto compatibile con la sharia, «fa parte di un progetto di islamizzazione dell’Europa e del mondo». Non occorre esser profeti, per capire cosa questo voglia dire. Eppure, non v’è peggior sordo di chi non voglia sentire. Così l’FMI, il Fondo Monetario Internazionale, va avanti per la sua strada come un panzer, accogliendo a braccia aperte, anzi spalancate petroldollari e qualsiasi forma d’investimento provenga dai Paesi musulmani.

Tale organismo economico si è fatto addirittura promotore di consultazioni con una qualificata rappresentanza della finanza islamica, diffusa in Medio Oriente e nel Sud-Est asiatico, con l’obiettivo esplicito di farle guadagnare nuove fette di mercato anche in Occidente. Incredibile! Una sorta di harakiri economico, oltre che, di riflesso, politico e culturale. Non solo si consente l’ingresso della Mezzaluna nelle nostre Borse, ma la si agevola pure, avviando una revisione normativa per questo, in un periodo in cui peraltro di tutto han bisogno le nostre fragilissime imprese, meno che di nuovi concorrenti pronti a metterle in ginocchio per poi fagocitarle, azione dai prevedibili risvolti sociali. Concorrenti peraltro potenti: secondo il recente rapporto pubblicato dalla Banca Mondiale nella regione compresa tra Medio Oriente e Nord Africa, conflitti permettendo, è prevista una crescita media del 4.2% nel corso del 2015: in particolare, si parla del 2% in Libano, del 3,1 in Egitto, del 2,7 in Tunisia, del 4,6 in Marocco, del 2/3% in Iran e Algeria, tutte realtà alquanto problematiche per quanto riguarda gli equilibri internazionali. Magari in Europa potessimo vantare stime di crescita almeno equivalenti!

Invece, no: al tavolo, riunitosi per la prima volta la scorsa settimana a Washington, si è seduto col gotha del business occidentale un gruppo, costituito da nove diversi enti facenti capo ai magnati musulmani, per individuare le sfide politiche e coordinare i vari attori del settore, parlando di finanziamenti, di piccole e medie industrie, di standard normativi dell’accordo Basilea III.

Già due anni fa l’economista Paul Krugman sul New York Times criticava pesantemente «l’inutile politica suicida dell’Europa», elencando una serie di dieci punti critici, cui oggi, lungi dall’esser risolti, se ne aggiungono altri, questi legati all’intraprendenza islamica ed all’ignavia occidentale. Tutti fattori, che – unitamente a quanto già individuato da Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa – contribuiscono a rendere questa una «stagione di smarrimento», in cui muoversi «disorientati, incerti, senza speranza», con «una sorta di paura nell’affrontare il futuro». Ed il dubbio, più che realistico, che tale paura sia assolutamente fondata…

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