Liberation oltre le vignette: bestemmie in prima pagina| La Nuova Bussola Quotidiana

di Luigi Santambrogio – 17-01-2015

Ormai siamo a chi la spara più grossa, la bestemmia. Charlie ha fatto scuola (postuma) e nella stampa è tutto un rincorrersi a dimostrare a chi è più laico/laido, ateo e blasfemo degli altri. Quasi una sfida dopo le incisive parole di papa Francesco e la sua voglia di “prendere a pugni” chi offende le religioni. In Francia la stragi islamiche sembrano aver dato nuovo vigore alla sinistra atea e anticattolica che ha in Liberation la sua migliore rappresentazione. L’altro giorno, lo sciccoso quotidiano della gauche-pâté, se n’è uscito con una copertina che supera di mille maometti anche quelle più dissacranti di Charlie Hebdo.

“Libertà d’espressione – Attenzione, fragile”: questo il titolo su tutta la prima pagina di Libè (così lo chiamano i parigini), su uno sfondo giallo e un assortito campionario delle più classiche bestemmie. Ce n’è per Budda, Allah, Jahvè, ma soprattutto per Dio, Gesù Cristo, la Madonna e il Papa. E tanto per essere chiari e il meno allusivo possibile, il giornale rinuncia alle vignette per ripiegare sull’ingiuria dura e pura. Espressioni con tanto di aggettivi e insulti pornografici, come nella migliore tradizione militaresca in uso nelle caserme. La satira illustrata è cosa per intelligenze fini: evidentemente i cervelloni della rive gauche non ritengono tali i loro lettori.

Così, dallo sfondo giallo della premiére, ecco apparire a caratteri quasi cubitali, imprecazioni come: “Putain de Dieu”, “Buddha de Prisunic”, “Dieu est un con”, “Porc casher”, “Pute Vierge”, “Psychopape” (la traduzione è a vostro carico). C’è anche un timido: “Par la barbe du Prophete”, che allude a Maometto, ma è così gentile che fa, questo sì, davvero ridere. A Libè devono aver pensato che gli islamici avevano già avuto la loro dose dai cugini di Charlie e non era il caso di insistere, considerati anche i danni collaterali.

Nel suo editoriale, Laurent Joffrin, il direttore del quotidiano fondato 41 anni fa da Jean Paul Sartre, spiega che la sfilza blasfema è solo una provocazione (a sinistra le stronzate le chiamano così) che «in una fase di grande confusione che regna nel Paese», vuole indurre alla discussione «sui limiti fra la libertà di espressione e l’offesa alle religioni». Bizzarra e anche un po’ imbecille motivazione, questa di monsieur Joffrin: un po’ come se per dibattere sulla crisi della stampa, Le Figaro uscisse con un titolo a caratteri cubitali del tipo: “Quelli di Liberation sono una masnada di coglioni”. Ma non per offendere, ci mancherebbe: solo per “provocare” il governo francese a varare provvedimenti a sostegno dell’editoria.

Mais oui, è così che si ragiona tra gli intellos del raffinato Libè. Vogliamo discutere di religione? Ok, prima però tiriamo giù un bel bestemmione. Però si può vedere la faccenda da un altro punto di vista. Liberation è da tempo in profonda crisi di bilanci e di lettori. Una crisi che lo scorso anno è costata il posto a un paio di direttori, è arrivata a sfiorare la bancarotta del giornale e la perdita di un terzo dei posti di lavoro. Il piano di ristrutturazione prevede tagli drastici sul personale e il progetto di far uscire il giornale solo online. La sede attuale, al centro di Parigi, verrà venduta e i redattori si trasferiranno in periferia.

Non si fa peccato, quindi, a pensare che il quotidiano abbia preso al volo il massacro islamico per rilanciarsi come il vero e solo erede della laicitè e dell’esprit di pigliatori per i fondelli del defunto Charlie. Retropensiero cinico? Certo, e anche un tantino baro perché è noto che i quotidiani d’elite, intelligenti e illuminati come Liberation, scontano la scarsità di lettori. Ma quando la cronaca chiama, mica si può fare gli schizzinosi. Dunque, à la guerre comme à la guerre. A Charlie le vignette, a Libè le bestemmie senza tanti giri di matita, stampate papali papali nero su bianco, Anzi, su giallo che è anche il colore del Vaticano. Saranno pure in crisi, i giornalisti della rive gauche, ma i loro editori non hanno perso vecchio fiuto per gli affari. Cinque milioni di copie vendite con in copertina un Maometto che piange e con la faccia disegnata come un pene rovesciato, dicono più di tanti commenti. Occorre sfruttare fino all’ultima goccia il sangue di Charlie: un monito per i giornali della sinistra liberal che vendono intelligenza a quintali ma copie in dosi omeopatiche. Se non ora, quando? Oggi una copertina contro Dio e il Papa tira ancora, poi domani si vedrà.

Ma Liberation non il solo a rivendicare davanti al mondo l’esclusivo diritto a cantare la Marsigliese a squarciagola e a detenere il copy della libertè, ègalitè e fraternitè. E vada pure al diavolo  “La Francia che non è Charlie”, come titola in prima pagina Le Monde, altro quotidiano progressista di scarsa diffusione ma di abbondante prosopopea. Come quella del ministro francese della Giustizia, Christiane Taubira che davanti alle bare dei vignettisti uccisi non si è trattenuta dal ricordare che «la Francia è il paese di Voltaire e dell’irriverenza. Abbiamo qundi il diritto di ironizzare su tutte le religioni».

La ministra (che lo scorso anno ha fatto approvare la legge per il matrimonio gay dopo un duro scontro con il Vaticano) deve però conoscere pochino la gloriosa epopea dei Lumi e il suo amatissimo Voltare. Il quale, a proposito del popolo ebraico, scriveva queste belle e illuminate panzane: «Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono». E ancora: «Ricordo bene che ci sono molti paesi, tra cui quello dei giudei, in cui talvolta gli uomini vengono mangiati gli uni dagli altri», dice il Cappone in uno dei “Dialoghi” con la Pollastra che gli risponde: «Passi per questo. È giusto che una specie così perversa divori se stessa e che la terra venga purificata da questa razza». Se questo è il Padre della laicità in riva alla Senna, adesso capiamo di più anche i figli.

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