Libertà religiosa in Europa, tra alti e bassi | UCCR

Su quattro casi di cristiani britannici che avevano fatto ricorso adducendo di essere vittime di discriminazioni religiose, la Corte europea per i diritti umani (che nulla ha a che vedere con l’Ue), solo la cristiana copta Nadia Eweida, dipendente della British Airways che l’aveva sospesa dal servizio per aver voluto indossare una piccola croce al collo, ha visto riconoscersi la discriminazione subita.

Secondo la Corte di Strasburgo i tribunali nazionali britannici avevano «dato troppo peso» all’esigenza di tutelare l’immagine della società a scapito del diritto di manifestare la propria religione. Soprattutto, però, Eweida aveva dalla sua il fatto che la stessa compagnia, mentre le vietava di esporre un simbolo cristiano, aveva fatto eccezioni per veli islamici e turbanti sikh. Il governo britannico dovrà versarle un indennizzo di 32mila euro.

Niente da fare invece per Shirley Chaplin, infermiera cristiana in una clinica, che era stata prima rimossa dal servizio attivo e poi aveva perso il posto, per aver rifiutato di togliersi una catenina con croce, come invece chiesto dalla direzione per ragioni di sicurezza e igiene nei rapporti con i pazienti. La Corte ha sostenuto che «la protezione della salute e della sicurezza in ambito ospedaliero è di importanza molto maggiore» rispetto al diritto di manifestare il proprio credo. La decisione della Corte appare corretta perché oltre al diritto della libertà religiosa occorre al tempo stesso tenere conto dell’esistenza di altri diritti che possono essere messi in gioco, come ha spiegato Monica Lugato professore ordinario di Diritto internazionale alla Lumsa

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