L’Isis giustifica i suoi schiavi yazidi :: Daniel Pipes

di Daniel Pipes
L’Opinione delle Libertà
22 ottobre 2014

È un dato di fatto che lo Stato islamico (Isis) abbia ridotto in schiavitù donne e bambini yazidi che ha catturato. Ad esempio, in un rapporto delle Nazioni Unite si legge che “300 donne [yazide] sono tenute in schiavitù”. Ora, l’Isis fornisce una giustificazione teologica a questa pratica e lo fa attraverso il suo ben congegnato magazine multilingue Dabiq.

Profughi Yazidi nei pressi di Sinjar in fuga davanti all”avanzata delle forze dell’Isis, nell’agosto 2014.

La maggior parte del contenuto dell’articolo di quattro pagine e in lingua inglese pubblicato dalla suddetta rivista, titolato “The Revival of Slavery Before the Hour” [“La rinascita della schiavitù prima dell’Ora”], affronta l’argomento del titolo, ossia come la schiavitù funzionerà con l’avvicinarsi del giorno del Giudizio finale. Il resto dell’articolo motiva razionalmente la schiavitù degli yazidi, seguaci di un’antica religione, che sono meno di un milione, vivono principalmente nella regione irachena del Sinjar e professano una religione pre-islamica che risente dell’influenza sufi. L’autore anonimo del pezzo sostiene che essi non sono monoteisti ma seguono un credo “che devia dalla verità”. Ergo, essi non meritano “lo status di protetti” (dhimmi).

Malak Ta’us, l’angelo pavone degli yazidi e il leader degli arcangeli.

Poi, l’autore spiega le implicazioni di questo verdetto, asserendo innanzitutto (le parentesi quadre contengono le mie traduzioni) che

Lo Stato islamico tratta questo gruppo nel modo in cui la maggior parte dei fuqahā [giuristi] ha indicato debbano essere trattati i mushrikīn [politeisti].

In altre parole, l’Isis segue alla lettera quanto stabilito dalla tradizione giuridica premoderna.

A differenza degli ebrei e dei cristiani, non c’era spazio per il pagamento della jizyah.

La jizya, una tassa pagata dai non musulmani ai loro signori musulmani in cambio di “protezione”, è un privilegio riservato ai monoteisti; gli yazidi, non essendo monoteisti, non hanno questo privilegio.

Inoltre, le loro donne possono essere ridotte in schiavitù a differenza delle apostate che secondo la maggioranza dei fuqahā non possono essere rese schiave e alle quali si può solo dare un ultimatum o dovranno subire la spada [ossia una condanna a morte, N.d.T.].

Secondo gli esperti di legge islamica, gli yazidi, non essendo apostati, possono essere ridotti in schiavitù.

Dopo la cattura, le donne e i bambini yazidi sono stati divisi secondo la Sharia tra i combattenti dello Stato islamico che hanno partecipato alle operazioni nella regione del Sinjar. Poi, un quinto degli schiavi è stato trasferito all’autorità dell’Isis per essere ripartito come khums [la quinta parte del bottino che va allo Stato].

Lo Stato islamico applica in tal modo la classica dottrina islamica riguardante il bottino di guerra.

Questa schiavitù su larga scala delle famiglie mushrik [politeiste] è probabilmente la prima dopo l’abbandono della legge della Sharia. L’unico altro caso noto – anche se meno esteso – è quello della schiavitù delle donne e dei bambini cristiani nelle Filippine e in Nigeria da parte dei mujahidin.

Il brano riportato sopra fa riferimento al gruppo filippino Abu Sayyaf e a Boko Haram in Nigeria.

Le famiglie yazide rese schiave sono ora vendute dai soldati dello Stato islamico come i mushrikīn venivano venduti dai Compagni [del Profeta] (radiyallāhu ‘anhum) [che Iddio si compiaccia di tutti loro] prima di loro. Molti precetti famosi sono osservati, incluso il divieto di separare una madre dai figli piccoli.

L’Isis sottolinea ancora una volta che si lascia guidare dal libro. Si noti il verbo “venduti”.

Molte delle donne e dei bambini mushrik hanno abbracciato l’Islam e ora fanno a gara per praticarlo con palese sincerità dopo essere uscite dal buio dello shirk [politeismo].

L’autore poi conclude l’articolo con tre hadith [detti e fatti attribuibili a Meometto] che confermano l’utilità della schiavitù per ottenere la conversione all’Islam e ottenere un posto in paradiso. Fa quindi beneficiare della schiavitù sia la comunità cristiana (allargandola) sia i singoli schiavi (rendendo loro accessibile il paradiso). Che grosso affare per tutti!

Il tempio yazida a Lalesh, in Iraq.

Ci sono alcune cose da rilevare in tutto questo.

Innanzitutto, l’inglese molto arabizzato dell’articolo caratterizza i discorsi dell’Isis, scritti e parlati. L’inglese fornisce la struttura ma i vocaboli importanti sono in arabo classico, con l’uso del dialetto appena visibile (ad esempio, mushrikīn). Le traslitterazioni dall’arabo sono pedantemente erudite, con tanto di ‘ayns (‘) e lineette orizzontali poste sopra a una vocale per indicare accento o suono lungo (ā, ī).

Come in ogni altro aspetto della vita, l’Isis applica sfacciatamente e brutalmente la legge islamica premoderna, non facendo nessuna concessione di sorta ai costumi moderni. Esso cerca di instaurare un califfato universale come se fossimo tornati al VII secolo. Essendo le decapitazioni e la riduzione in schiavitù tra le ingiunzioni coraniche più sconcertanti per una sensibilità moderna, il gruppo trova esaltante applicarle e imporle a coloro che considera infedeli.

Gli impulsi deliranti e reazionari dell’Isis fanno presa su pochissimi osservatori mentre il suo zelo messianico lo conduce molto lontano, molto velocemente – dai confini della Turchia ai sobborghi di Baghdad. Le sue azioni, però, fanno inorridire la stragrande maggioranza, musulmana e non, cosa che porterà al suo inevitabile crollo e creerà dei danni irreparabili all’Islam.

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