L’Italia è in estinzione ma il governo spinge sull’eutanasia | Vita Nuova Trieste

Una perversa logica tiene insieme i dati sulla situazione demografica italiana resi pubblici dall’Istat qualche giorno fa e l’ostinato tentativo del governo Gentiloni di far approvare, come degna conclusione della propria esistenza e di questa legislatura e come “regalo di Natale” alla società italiana, la legge sul cosiddetto testamento biologico, che di fatto introdurrebbe in […]

Una perversa logica tiene insieme i dati sulla situazione demografica italiana resi pubblici dall’Istat qualche giorno fa e l’ostinato tentativo del governo Gentiloni di far approvare, come degna conclusione della propria esistenza e di questa legislatura e come “regalo di Natale” alla società italiana, la legge sul cosiddetto testamento biologico, che di fatto introdurrebbe in Italia l’eutanasia.
Le cifre rese note dall’Istituto centrale di statistica sono impietose, sempre più impietose: la “piramide” demografica italiana è ormai da tempo diventata una colonna sempre più ristretta alle basi e molto ampia, ma altrettanto fragile sulla cima. In 10 anni sono nati più di 100.000 bambini in meno, il tasso di fecondità delle donne italiane è sceso all’1,26 per cento, le famiglie in cui si supera il figlio unico sono ormai una ristretta minoranza. Contemporaneamente sale l’età media della popolazione, aumentano gli anziani e i pensionati, gli ultraottantenni e ultranovantenni: ma aumenta anche il numero dei decessi. Nel 2016 a fronte di 473.438 nascite si sono verificate 615.000 morti, con una diminuzione della popolazione di più di 140.000 persone.
A questo ritmo i demografi ipotizzano che prima del 2050 i morti saranno il doppio dei nati, con una diminuzione della popolazione di almeno 400.000 persone l’anno. Le generazioni successive, sempre più ridotte, tenderanno a loro volta ad essere sempre meno feconde. Proiettando dati e stime sui decenni successivi, se ne deduce che in 50 anni la popolazione italiana si sarà dimezzata, pur presumendo un’immigrazione costante. Uno scenario drammatico di avvitamento del paese su se stesso, in cui la progressiva depopolazione genererà un effetto a catena di diminuzione dei consumi, impoverimento e dunque un’ulteriore contrazione della fecondità. Il tutto, con un sistema previdenziale e assistenziale già provato che non potrà sopravvivere ad un invecchiamento e ad una sproporzione generazionale di tale entità.
Si sta materializzando insomma sempre più chiaramente – se non interverranno cambiamenti radicali – un vero e proprio suicidio collettivo della nazione, una marcia spedita verso l’estinzione di una popolazione formata da individui sempre più soli, sempre più pessimisti e sempre più poveri: nel contesto di un più ampio fenomeno di invecchiamento e spopolamento dell’Europa intera, e di mutamenti demografici ed economici imponenti nel mondo, che vedranno le popolazioni africane ed asiatiche invece crescere fino a schiacciare quelle del Vecchio Continente. Una marcia che non è iniziata certo con la crisi economica degli ultimi dieci anni, ma che procede implacabile, aggravandosi progressivamente, dall’inizio degli anni Settanta, quando il matrimonio e la famiglia hanno cominciato ad essere smantellati dalla liberazione sessuale, dal divorzio, dall’aborto, dall’affermarsi di stili di vita sempre più individualisti ed edonisti, dalla conseguente dilazione e precarietà sempre maggiore delle scelte fondamentali di vita.
In presenza di indicatori così impressionanti, di una crisi che potrebbe essere fatale alle generazioni successive e cancellare tutto il patrimonio di civiltà che il paese ha ereditato da millenni di storia, ci si attenderebbe che il principale tema all’ordine del giorno del dibattito politico italiano fosse l’esigenza prioritaria di trovare i modi per spezzare a tutti i costi questo circolo mortale: per spingere economicamente e culturalmente i giovani a sposarsi, fare figli, rendere stabili le loro famiglie; per scoraggiare la piaga dell’aborto (quasi 90.000 nel 2016, a cui bisogna aggiungere le tante gestazioni impedite dalle “pillole del giorno dopo”: se nati, quei bambini avrebbero ridotto di molto lo scompenso tra nascite e morti); per assistere le gestanti e madri in difficoltà; e, insomma, per riconvertire drasticamente la politica economica in direzione di una promozione della vita a tutti i livelli, a sua volta primo possibile motore di una vera e duratura ripresa di consumi, produttività e ricchezza, in grado di rovesciare la spirale suicida in un circolo virtuoso.
Purtroppo, però, la realtà del dibattito politico italiano attuale è ben diversa. L’unica, rachitica misura economica di incoraggiamento alla natalità che finora esisteva – il bonus bebé creato come una tantum dal governo Berlusconi nel 2005 e poi stabilizzato da Monti/Fornero e da Renzi – ha rischiato di essere eliminato nella legge di bilancio, ed è stato alla fine dimezzato. Di arginare gli aborti neanche a parlarne, in nessuno schieramento politico: anzi, al contrario, ogni tanto dalla sinistra vengono lanciate intimidazioni verso i medici obiettori, e si intima di “aumentare la produttività” della quotidiana “industria” che produce morte infantile e spopolamento, considerando questa strage un “diritto delle donne”.
In compenso, la maggioranza di governo sembra considerare prioritaria l’approvazione di una legge che consenta di chiedere in anticipo la sospensione non solo di terapie, ma del sostentamento in vita permesso da alimentazione e idratazione, e dunque legalizzi l’eutanasia “passiva”, facendo entrare anche l’Italia nel tragico “club” dei paesi europei che legittimano la soppressione delle vite di anziani e disabili. Da qui a imitare quei paesi fino in fondo, trasformando l’eutanasia passiva in attiva, e aprendo dunque la strada alla possibilità di richiedere il “suicidio assistito” da parte di ammalati, ma anche semplicemente di persone sole, abbandonate, depresse (che, viste le tendenze demografiche sopra richiamate, saranno presumibilmente sempre di più) il passo sarebbe presumibilmente molto breve. Basterebbero probabilmente pochi altri casi agitati da provocatori come i radicali per convincere un’opinione pubblica già ammaliata dalla retorica che spaccia il suicidio come un “diritto” connesso ad un’idea sempre più estrema di “autodeterminazione” personale, e a forzare questa ultima, fragile, barriera.
Sembra quasi che incoraggiando questa deriva le forze di governo ragionino ormai secondo uno schema del tipo “Tanto peggio, tanto meglio”: se proprio dobbiamo suicidarci come nazione, insomma, meglio farlo il più in fretta possibile. Chiudere la pratica, “sgravarci” dal costo immane dei pensionati e degli anziani, e magari puntare tutto – qualcuno, come la solita Emma Bonino, lo teorizza apertamente – sul rimpiazzo degli italiani mancanti attraverso l’importazione sempre più indiscriminata di immigrati: obiettivo folle e illusorio, che aprirebbe la strada alla fine della democrazia di tipo occidentale come l’abbiamo conosciuta, e alla “libanizzazione” del paese, come dell’Europa tutta.
E la cosa più sconfortante è che questa concezione necrofila dei diritti individuali e del futuro d’Italia non è oggi predominante soltanto nel Pd, nella sinistra e nel Movimento 5 Stelle – forze politiche immerse già profondamente in una cultura nichilista – ma purtroppo viene condivisa, o almeno legittimata, anche da alcuni settori della classe politica e dell’opinione pubblica di centrodestra, che per loro natura contro il nichilismo mortuario dovrebbero invece fare compattamente muro, in nome di una cultura della libertà che lega quest’ultima indissolubilmente al diritto alla vita, primo tra tutti i diritti, e anche alla salvaguardia della vita della comunità in base a princìpi di civiltà condivisi. E ormai trova soltanto debolissimi ostacoli in ciò che rimane della classe politica di formazione cattolica, incapace di contrastare con coraggio la deriva del relativismo trionfante.
Il che dimostra che, al di là delle distinzioni tra destra e sinistra su altri piani, le (estreme) speranze di sopravvivenza dell’Italia come nazione, cultura, democrazia liberale sono legate ormai soltanto all’eventuale formazione di una coalizione politica che ponga al centro della sua identità e dei suoi programmi la salvaguardia della vita umana a tutti i livelli, “dal concepimento alla morte naturale”, come prioritaria dello sviluppo economico, sociale e culturale.
di Eugenio Capozzi
Fonte: https://www.loccidentale.it

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