Lo spazio per un cattolicesimo europeo

di Elisabetta Gardini*  16-06-2013

Pubblichiamo l’intervento dell’Europarlamentare Elisabetta Gardini tratto dal pamphlet digitale «Benedetto Francesco», realizzato dalla Fondazione Cristoforo Colombo per le libertà. Il pamphlet affronta il passaggio di pontificato da Bendetto XVI a Francesco, nella prospettiva della continuità, mettendo in risalto le sfide rappresentate dal rapporto tra Chiesa e mondo moderno. «Benedetto Francesco», curato da Andrea Camaiora con i contributi – tra gli altri – di Paola Binetti, Claudio Scajola, Raffaello Vignali, è scaricabile gratuitamente dal sito della Fondazione

«Se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va: diventeremo una Ong pietosa, non sposa del Signore». L’ha detto Papa Francesco sole poche ore dopo essere stato eletto al soglio di Pietro. Recentemente il suo predecessore Benedetto XVI aveva affermato: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Bastano queste due considerazioni per mostrare come, al netto della provenienza geografica e degli alterni percorsi di vita di Jorge Mario Bergoglio e Joseph Ratzinger vi sia ben più di un idem sentire tra i due pontefici.

Ma se la Chiesa, a partire dal suo primo pastore, da alcuni anni ha ricominciato a porre quale tema centrale e imprescindibile, quali sfide attendono credenti e non credenti, specie in Europa, per un rinnovato e potremmo dire risanato rapporto tra dimensione religiosa e politica? Quale può essere un corretto rapporto tra Stato e Chiesa e, con riguardo alla specificità europea, tra la comunità di Stati rappresentata dall’Ue e le Chiese, in primis la cattolica?

In questi anni abbiamo assistito a un processo incessante di secolarizzazione non soltanto nel Vecchio Continente, per il quale proprio il pontificato di Benedetto XVI ha avanzato la necessità di una «nuova evangelizzazione», ma anche nelle culture dei Paesi emergenti, dove pure il numero dei cattolici è in crescita e i seminari sono pieni. La finestra su Strasburgo e Bruxelles consente di affermare senza tema di smentite che ormai negli apparati dell’Unione europea si è cristallizzato un sentimento anticristiano e dunque anticattolico che si riflette non soltanto in molte delle decisioni che vengono assunte, ma anche nella formazione progressiva e sempre più accentuata di un relativismo culturale che è il vero nemico non soltanto di qualunque società che abbia a cuore la propria coesione e il proprio corretto sviluppo, ma potremmo dire di ogni civiltà, visto che una volta che viene smarrito – o, come in questo caso, rifiutato – un patrimonio di valori condiviso la Storia ci insegna che di fronte a sé l’uomo ha soltanto aperta la strada del decadimento e del degrado.

Vi sono molti esempi di questa ostilità nei confronti dei cristiani, che scontano anche una divisione tra cattolici, protestanti e ortodossi che si fa più forte nella rappresentanza politica dei paesi del nord e dell’est Europa. Esiste oggi in Europa, nonostante un grande sforzo comune, una sostanziale indifferenza nei confronti di un fenomeno che ha purtroppo assunto da tempo una dimensione mondiale e che è quello della cristianofobia: la persecuzione di individui, comunità e popoli solo e soltanto in nome della loro fede in Cristo. La Storia ritorna e con essa la memoria dei Beati Martiri di Otranto che, il 14 agosto 1480, furono decapitati dagli ottomani (le cronache del tempo riferiscono di circa 800 persone tra uomini, donne e bambini ) sul colle della Minerva perché si erano rifiutati di rinnegare la religione cristiana.

Che differenza c’è tra i Martiri di Otranto e Shahbaz Bhatti, il ministro pachistano per le Minoranze religiose ucciso il 2 marzo 2011 perché cristiano credente, osservante e impegnato nel tentativo di assicurare una reale e piena libertà religiosa nel proprio Paese? L’indifferenza per la persecuzione dei cristiani nel mondo è la stessa che la civilissima Europa riserva all’abominevole controllo delle nascite in Cina, con il ricorso ad aborti di massa per i quali a Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma non si indigna praticamente nessuno. C’è poi – last but not least – il tema per nulla superato delle radici cristiane dell’Europa.

Non si tratta, in questo caso, di un tema di natura costituzionale. Non è necessario alcun trattato europeo che le riconosca o che decreti uno status privilegiato delle radici giudaico cristiane dell’Europa. Quel che occorre, affinché l’Ue non perda definitivamente la bussola, è però il riconoscimento da parte delle élite e dei popoli di una fede nella quale si riconosce una parte importante degli europei e un insieme di convinzioni e principi che nella maggior parte degli Stati dell’Ue è condivisa dalla maggioranza della popolazione. Rispettarla spetta a ciascuno di noi, alla politica, certo, ma soprattutto alla famiglia e alla scuola. Se è vero come è vero che il pontificato di Francesco gode di maggior benevolenza mediatica di quello del suo predecessore, abbiamo di fronte a noi una prova d’appello: risanare il rapporto tra Chiesa e Stato.

Per farlo noi credenti desideriamo vedere pastori che parlano innanzitutto e soprattutto di fede, di Dio incarnato, di parola di Gesù, ma ai quali non sia mai negata – come invece è avvenuto e avviene troppo spesso anche in Italia – la dimensione pubblica e tantomeno siano poste in essere misure per colpire una fede religiosa o una radicata partecipazione ad un complesso valoriale che dovrebbe vedere uniti credenti e non credenti per assicurare una tenuta delle società del Vecchio Continente e un avvenire di speranza per l’intera Unione europea.

* Europarlamentare del PPE

Fonte: La nuova bussola quotidiana quotidiano cattolico di opinione online – Lo spazio per un cattolicesimo europeo.

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