Lo Stato islamico coltiva la morte meglio dell’Occidente | Tempi.it

Ottobre 12, 2014 Renato Farina

Guardando il fiabesco documentario di Vice News sullo Stato islamico trasmesso da Sky, ho capito che hanno ragione Oriana Fallaci il cardinal Biffi

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La réclame era perfetta. “Dentro l’Isis” era stato annunciato come «l’eccezionale reportage di Vice News che Sky TG24 HD propone in esclusiva televisiva e che è stato realizzato all’interno dello Stato islamico, il gruppo terrorista che sta sconvolgendo l’Occidente e che in pochi mesi ha conquistato un territorio di circa 100 mila chilometri quadrati da Raqqa a Mosul, con sempre più imponenti ambizioni di espansione. Il reportage è l’unico documento girato all’interno dell’Isis, al seguito dei guerriglieri dell’organizzazione terroristica più temibile al mondo». Nella sovrabbondanza di immagini di orrore, la vita quotidiana dell’Isis. Che faccio? Guardo. Di più: mi ci butto.

Abu Bakr al-BaghdadiDopo non ne ho più sentito parlare. Non so perché. Io avrei molto da dire. Infatti qui lo scrivo.

Il film documenta un mondo fiabesco. Lo so che non si dovrebbe dire, ma è così. Funziona tutto. Il tribunale giudica in fretta, e severamente. I ladri, via la mano. Le cause civili, risolte in un battibaleno. Il capo gira armato per Raqqa, sorride, ferma chi gli pare un po’ sbronzo, rimprovera il marito di quelle donne che sono tutte coperte di nero, ma lasciano intravvedere uno scampolo di colore. Gli dice: «Sei un musulmano, la donna è tua, perché la devi lasciar godere a un altro?».

C’è qualche problema. I cristiani ad esempio. Ma lo si risolve in fretta. Il Corano prescrive che hanno due scelte: convertirsi alla vera religione, oppure pagare una tassa e restare lì, naturalmente con la N di Nazareno sul muro, per chiarezza. La chiesa degli armeni è stata privata della croce, trasformata in un centro culturale islamico, dove si insegna la sharia, la legge di Dio.

Non è però un mondo seduto, un islam borghese e acquietato. C’è roba forte: la missione. E la missione è guerra. Tutto ciò viene detto con forza ma una forza tranquilla. Non si sentono i suoni gutturali, mancano le aspirate arabe che fanno stringere il fiato in bocca a gente con il turbante e il mitra, il doppiaggio ci introduce come ospiti in quel mondo. I bambini desiderano solo diventare come il barbuto cicerone di questo paradiso in terra, pronti a far fuori tutti, per espandere il giardino del bene. Si vede un uomo crocifisso, lo fanno passare per un assassino punito, ma forse è un cristiano. C’è anche bontà però. Obbligatoria per legge. I ricchi a malincuore sganciano dollari per le famiglie in difficoltà. Eccetera eccetera.

siria-islam-crocifissione-raqqa-cristianiCapisco perché il Califfo ha consentito questo reportage. Il totalitarismo ha un fascino come ce l’ha l’abisso. La decapitazione cattura la gente malata, vogliosa di sbudellamenti. Ma l’ordine identitario sembra molto meglio dell’insicurezza totale, del buio del nichilismo. Coltivano la morte, nell’Isis (Stato islamico di Iraq e Siria), ma anche l’Occidente la coltiva. Perché dovrebbe essere meglio da noi? Sono certo che se ci sono stati ragazzi un po’ turbati in ascolto, di famiglie islamiche di prima o seconda generazione, ma anche no, semplici ragazzi e ragazze frustrati dal niente gonfiato in forma di sesso e sballo, la preferenza istintivamente sarebbe andata a quel mondo. Dove vita e morte hanno colori vividi. Meno noia.

Ho scritto queste cose molto spaventato di quel che andavo compitando. Spero sia utile. Ho capito che aveva ragione Oriana Fallaci. Loro sono più forti di noi, che non amiamo più il suono delle campane, nulla ci è caro al punto di morirne. Ed ha ragione il vecchio e ormai demodé cardinale Giacomo Biffi che profetizzò: «Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».

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