L’Occidente è nato nel giardino dell’Eden | Cultura | www.avvenire.it

Sacre Scritture sono l’universo entro cui la letteratura e l’arte occidentale hanno operato fino al XVIII secolo e stanno ancora in larga misura operando». Questa affermazione del noto saggio Il grande codice di Northrop Frye (1981) sul rapporto tra Bibbia e letteratura registra un dato di fatto facilmente accessibile a chi perlustri la storia culturale dell’Occidente: per secoli, infatti, la Bibbia è stata l’immenso lessico o repertorio iconografico, ideologico e letterario a cui si è attinto costantemente a livello colto e a livello popolare. E se Erich Auerbach nella sua famosa Mimesis (1946) aveva riconosciuto nella Bibbia e nell’Odissea i due modelli cruciali per la nostra cultura, Nietzsche nei materiali preparatori all’Aurora (1881) ugualmente confessava che «per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca». Cercare di delineare questa presenza con la molteplicità delle sue forme, ora ideali ora degenerate, è un’impresa ciclopica, per non dire disperata tanto sterminata risulterebbe ogni catalogazione. Tuttavia, sulla scia di stimoli provenienti dalla filosofia (ad esempio, Gadamer) e dalla teologia (ad esempio, von Balthasar), si è riconosciuto, per la comprensione della Bibbia, il rilievo rappresentato non solo dall’Autore ma anche dal Lettore, cioè dalla Tradizione teologica, spirituale e artistica che dalla Scrittura è stata generata. Si è, così, configurata una ricerca detta di Wirkungsgeschichte o «storia dell’effetto» (o anche Rezeptionsgeschichte, ossia di «storia della recezione» di un testo) che verifica lo straordinario influsso e l’irradiazione esercitata dalla Bibbia sull’immaginario e sulla vicenda culturale alta e popolare.

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