«Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. […] Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare… Ma nessuno mi stava ascoltando: ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io».
Sì, poche volte nella storia dell’arte si è riusciti a rendere in modo così efficace un grido, nel silenzio più assoluto della tela. Quest’uomo grida e, attorno, tutto si muove: acqua, spiaggia, cielo, montagne, imbarcazioni. Tutto è in preda a un relativismo assoluto, agghiacciante dove l’uomo perde la sua identità. Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io.
Quell’uomo non ha un volto ben definito: non è uomo, né donna, pare la parabola del “gender”. L’uomo classificato come genere, in attesa di definire la sua identità. Nel paesaggio tutto si muove, tutto è relativo e l’unica realtà rigida, stabile, è quel parapetto nero che, ahimè, esaspera ancor di più la corsa di quell’essere umano.
Il punto focale del dipinto si trova dietro la maschera urlante. Sono gli amici di Munch, sono una coppia, un uomo e una donna anche loro neri, come il parapetto, come la loro anima inquietante. In quella coppia, fatta da un uomo e da una donna, non c’è amore, non c’è solidarietà verso il malcapitato che urla. Quest’uomo ha perso la sua origine, come ritroverà la sua fine?
Apro le pagine dei giornali, apro Avvenire e leggo il grido inquieto dell’emergenza uomo, penso ai volti urlanti che appaiono sui giornali solo dopo il loro suicidio. Spesso pubblicizzati senza ritegno, talora strumentalizzati. Penso al Santo Padre che chiama ciascuno a una responsabilità personale, chiara e forte e precisa. Penso a tutto questo e rivedo l’Urlo di Munch. Un essere senza identità che trasforma il più bello dei tramonti in lacrime di sangue che ingombrano il Cielo. Quest’essere umano grida per me, per te che mi leggi, per noi. Che risponderemo?
Fonte: L’urlo e il gender (l’estate di Munch) | Commenti | www.avvenire.it.