Medioriente, le ferite curate dai cristiani – L’Editoriale italia

Domenica 08 Luglio 2018

Medioriente, le ferite curate dai cristiani

Adesso staremo a vedere chi li ascolterà e si applicherà a sciogliere il nodo dei troppi interessi in Medio Oriente, un incubo per le popolazioni con migliaia di morti e milioni di profughi. La preghiera di Bari e il summit della tavola rotonda nella basilica di San Nicola hanno sancito un patto, almeno tra i cristiani decisi per la prima volta a parlar chiaro e tutti insieme. Tecnicamente non è una «Dichiarazione comune», ma le parole lette da Papa Francesco e seguite con attenzione sui foglietti dagli altri leader cristiani rappresentano una cruciale convergenza di analisi finora mai espressa con altrettanta cruciale determinazione. Non deve essere stato facile nelle due ore del vertice mettere d’accordo i recalcitranti patriarchi e i loro rappresentanti su alcune frasi essenziali, come quella che auspica per le Chiese in Medio Oriente di restare fuori e, se del caso, di uscire da «logiche di potenza e di guadagno», logiche «sbrigative e di convenienza».

I cristiani in Medio Oriente, si sa, non sono una falange compatta e a volte più che nella libertà del Vangelo hanno cercato protezione nelle pieghe del potere politico per salvare privilegi. Ma tale protettorato ha prodotto più danni che bene alla loro libertà e identità quando i rapporti di forza e le alleanze sono state travolte dai conflitti. È sempre accaduto così nella storia recente del Medio Oriente. E sempre si è assistito ad una decimazione dei cristiani non per genocidio, se si eccettua quello armeno per mano dei «Giovani Turchi», ma per diaspora, con l’angoscia del ritorno impossibile, come i numeri dimostrano.

Ieri invece per la prima volta i cristiani divisi d’Oriente hanno detto «basta» a tutte le scellerate ragioni geo-politiche che insanguinano il Medio Oriente, dall’occupazione di terre che lacera i popoli alle false verità e narrazioni storiche che inquinano le opinioni pubbliche e i libri di testo scolastici, dal controllo per procura delle fonti energetiche alle spartizioni dei territori in zone di influenze sempre per procura. Insieme hanno denunciato che i conflitti per la supremazia allargano le povertà, che è inutile parlare di pace se poi si tace sul riarmo, oppure se si accarezza l’idea delle tregue garantite dai muri o delle prove di forza sbattute in faccia all’altro.

È sicuramente una svolta per l’ecumenismo, ma è anche una prova politica di un impegno maggiore per la pace. I cristiani nel groviglio mediorientale, oggi ulteriormente complicato dal confronto-scontro tra Vladimir Putin e Donald Trump, potranno avere un ruolo se riescono a ridare voce all’intero Medio Oriente non come mandatari di qualcuno ad Occidente o ad Oriente, ma come cittadini con uguali diritti e doveri al pari degli altri. Il «patto di Bari» confina nell’angolo della storia l’autocomprensione di sé come minoranza, concetto che fa comodo a molti per poter invocare protezioni assai poco virtuose e porsi come una sorta di perseguitati privilegiati agli occhi del mondo. Ieri a Bari si è detto che tutto il Medio Oriente «piange, mentre lo calpestano in cerca di potere e di ricchezza». Non c’è nel testo un accenno specifico ai cristiani perseguitati, ma a chi è «perseguitato» dai conflitti provocati dai fanatismi, «travestiti da pretesti religiosi che hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio». È una scelta importante e decisiva che accantona definitivamente l’idea che i cristiani siano ospiti in Medio Oriente solo di perenni «millet», recinti certificati dalle Sublimi Porte di turno, invece che cittadini a pieno titolo come gli altri. La sindrome del millet opposta alla ricerca della piena cittadinanza ha portato guai, ma solo adesso sembra che se ne abbia consapevolezza. Eppure lo aveva già denunciato Giovanni Paolo II al Sinodo speciale sul Libano e Benedetto XVI a quello sul Medio Oriente. Francesco continua a ripeterlo: i cristiani vogliono cittadinanza e non protezione e non solo per sé ma anche per gli altri, minoranze o maggioranze che siano. È l’unico modo per salvare il Medio Oriente dagli estremismi della protezione da un lato e dell’indifferenza dall’altro, che da troppi anni alimentano guerre «nel silenzio di tanti e con la complicità di molti».

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