Migliaia di cristiani in marcia: sono tutti “Nazareni” | La Nuova Bussola Quotidiana

di Anna Bono  18-09-2014

Domenica 15 settembre in India, a Bangalore, capitale dello stato del Karnataka, migliaia di cristiani sono sfilati per le vie cittadine per esprimere solidarietà ai fratelli perseguitati in Iraq, Siria e Africa. A conclusione della marcia, una delegazione ha presentato al governatore del Karnataka un memorandum e la richiesta che l’India pronunci “una forte denuncia dell’olocausto dei cristiani iracheni”. Inoltre i cristiani di Bangalore hanno rivolto un appello a tutte le comunità religiose del paese – indù, sikh, giainisti, buddisti, parsi… – affinché a loro volta condannino le persecuzioni. “Dobbiamo far sentire la nostra voce – ha spiegato l’arcivescovo della città, monsignor Bernard Moras – restare in silenzio davanti a questo olocausto, alle brutali torture e agli omicidi, significa essere complici di tali violenze contro l’umanità”.

I cristiani di Bangalore hanno offerto non solo un ammirevole esempio di solidarietà e fratellanza, ma anche una grande lezione di unità e di coraggio.

Alla “Domenica di solidarietà” hanno infatti aderito cattolici, anglicani, metodisti, battisti, pentecostali, siriaco-ortodossi, evangelici e altre denominazioni ancora: tutti uniti nell’intento comune.

Quanto al coraggio dimostrato, come è noto in India la vita dei cristiani è tutt’altro che facile e sicura a causa degli ultranazionalisti indù. Proprio il Karnataka è considerato uno dei sei stati indiani più pericolosi per le minoranze e in cui le persecuzioni anticristiane sono più frequenti e feroci. Nel 2012 quasi un terzo degli atti di violenza registrati in India ai danni di cristiani si è verificato in questo stato: 41 su 135. Nel 2013 il Gcic, Global Council of Indian Christians, ha portato all’attenzione delle autorità centrali la violenza “brutale e senza tregua” contro i cristiani, le loro chiese e le loro proprietà; e Delhi ha ammesso la gravità della situazione nel Karnataka senza peraltro porvi rimedio.

La scorsa primavera la vittoria elettorale del Bharatiya Janata Party, il partito nazionalista indù, ora al governo, ha peggiorato ulteriormente la posizione delle comunità cristiane e delle altre minoranze. Nel Karnataka le tensioni più recenti si sono avute all’inizio di settembre in un villaggio, Indabettu, allorché, istigati dai fondamentalisti indù, i genitori di una scuola cattolica siro-malabarese, la Mariambika English School frequentata da molti allievi non cristiani, hanno accusato l’istituto di aver cristianizzato le nuove uniformi degli studenti apponendovi il proprio logo che include una piccola croce e una raffigurazione di Maria (poiché la scuola prende il nome dalla Vergine, tradotto nel dialetto locale). La tensione è cresciuta il 3 settembre quando le famiglie in rivolta hanno organizzato una protesta davanti alla scuola inducendo la polizia a intervenire per evitare il peggio. Tuttavia i manifestanti hanno accettato di tornare a casa solo dopo che le autorità scolastiche avevano annunciato il ritiro temporaneo delle nuove uniformi.

Il presidente del Gcic, Sajan George, intervistato da AsiaNews, ha incolpato dell’accaduto i gruppi ultranazionalisti indù che vogliono creare diffidenza e disarmonia tra le diverse comunità: “le scuole cristiane – ha spiegato – sono tra le più stimate per la qualità dell’educazione che impartiscono. A dimostrazione di questo c’è il fatto che gli studenti cristiani sono una minoranza nei nostri istituti che accolgono un numero considerevole di alunni indù e musulmani”. La reazione al nuovo logo inoltre è stata del tutto inaspettata e tanto più sconvolgente perché “Maria è venerata da tutti gli indiani, a prescindere dalla loro religione – ha aggiunto il presidente del Gcic – tanti non cristiani compiono pellegrinaggi nei santuari mariani”.

Ancora più grave è l’episodio verificatosi pochi giorni prima a Kulesra, un villaggio dell’Uttar Pradesh. Il 31 agosto la polizia, su pressanti richieste degli abitanti del villaggio, ha arrestato dieci pastori protestanti mentre partecipavano a un digiuno rituale: l’accusa, risultata infondata, era di aver convertito a forza degli indù. La stazione di polizia dove i religiosi sono stati trasferiti è stata circondata da una folla minacciosa, aizzata da militanti del gruppo induista paramilitare Rashtriya Swayamsevak Sangh, responsabili della falsa accusa. Il reverendo Wilson Jiseph, uno dei pastori fermati, in Uttar Pradesh dal 1992, ha detto di non aver mai assistito in tanti anni a una simile tensione: “alcuni membri della nostra chiesa hanno tentato di raggiungere la stazione di polizia, ma sono stati picchiati”.

Sempre nell’Uttar Pradesh, inoltre, ad agosto gli induisti hanno riconvertito all’induismo i fedeli di due comunità cristiane, battezzati nel 1995. Ad Asroi non si sono accontentati dell’abiura, ma hanno trasformato la chiesa del villaggio in un tempio di Shiva dopo averla purificata con un rito e aver divelto la croce situata sul tetto dell’edificio.

Secondo Sajan K George, intervistato da AsiaNews, quella in corso in Uttar Pradesh è una “violenza continua. Cresce l’odio contro la piccola comunità cristiana, l’intolleranza e la violenza sono ormai a livelli d’allarme. Solo per parlare di luglio, abbiamo registrato due violenti attacchi contro i cristiani portati avanti dai leader locali del fondamentalismo indù. E la polizia, invece di proteggere i cristiani e i loro diritti, li ritiene sempre colpevoli”.

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