“Morirai come Cristo”, le assurde minacce a monsignor Pennisi

Le gravi minacce al vescovo di Piazza Amerrina che si batte contro la criminalità organizzata

di Michelangelo Nasca

Non erano ministranti i due agenti di scorta che, durante la tradizionale processione del Venerdì Santo svoltasi a Gela, comune siciliano in provincia di Caltanissetta, hanno vigilato sull’incolumità del vescovo di Piazza Armerina monsignor Michele Pennisi a cui è stata recapitata in questi giorni una lettera minatoria direttamente presso il palazzo episcopale, e poi attraverso la pagina Facebook del celebre social network.

“Morirai come Gesù Cristo”, c’era scritto nella missiva spedita dalla provincia di Caltanissetta;  parole intimidatorie alle quali, peraltro, mons. Pennisi è abituato soprattutto per aver negato i funerali religiosi al boss di Cosa Nostra, Daniele Emmanuello, rimasto ucciso la mattina del 3 dicembre durante un blitz della Polizia a Villapriolo.

Già in quell’occasione – e in seguito ad alcune minacce contenute in un volantino anonimo che accusavano monsignor Pennisi di essersi alleato con la magistratura e le autorità che combattono la mafia, qualificandolo come “il vero capo di Cosa nostra a Gela”

– fu assegnato al Vescovo un servizio di tutela; “Il Signore – asseriva mons. Pennisi – ci liberi dal pizzo e dalla mafia. (…) Mi si accusa di aver sottomesso la Chiesa allo Stato, perché avrei obbedito al divieto del prefetto di celebrare il funerale nella chiesa madre. Una decisione che, allora come adesso, ho considerato invece ragionevole. (…) Il mio ministero è comunque svolto contro la mafia, al di là del fatto in sé. È probabile che contro il mio impegno ci sia una resistenza. Ho scritto sul giornale della diocesi che tra mafia e vita cristiana c’ è una assoluta incompatibilità, che il dovere dei cristiani è quello di prevenire i fenomeni criminosi, aiutando i mafiosi a pentirsi e diventare persone nuove. E alla famiglia protagonista della vicenda sottolineo che non abbiamo mai fatto mancare assistenza spirituale”.

In diverse occasioni, oltre alle dichiarazioni di mons. Pennisi, l’episcopato siciliano si è espresso contro la cultura della criminalità mafiosa e le sue collusioni: “I comportamenti mafiosi – riferisce l’Arcivescovo di Palermo Paolo Romeo – sono antievangelici ed è assolutamente inutile, oltre che offensivo, sfoderare Bibbia e santini, invocazioni varie, se poi si sceglie il male nella quotidianità della vita”; “Il ruolo della chiesa – secondo il Vescovo di Mazara del Vallo monsignor  Domenico Mogavero – nella lotta alla mafia deve essere educativo. I giovani siano consapevoli che bisogna andare avanti con le proprie forze e le proprie competenze, senza raccomandazioni o collusioni con la mafia”; “Non possiamo accettare la mafia, quella tradizionale, quella violenta, quella dei boss e dei criminali – dichiara l’ arcivescovo di Agrigento mons. Francesco Montenegro – ma come possiamo restare impassibili o peggio lasciarci coinvolgere dall’ altrettanto terribile cultura mafiosa?”.

In un recente documento, in vista delle prossime Elezioni amministrative, la Chiesa Palermitana ha reclamato una maggiore responsabilità civica: “In una città come Palermo, dove l’iniziativa economica privata non è messa in condizione di esprimersi liberamente e pienamente, maggiore è la responsabilità del soggetto pubblico nell’agevolare le condizioni strutturali e infrastrutturali per favorire tale espressione: occorre una nuova visione imprenditoriale per lo sviluppo della città e  una nuova cultura del lavoro produttivo che s’imponga su quella della rendita e del privilegio, che abbia il coraggio di sottrarsi al condizionamento della mafia, e sappia realmente moltiplicare e far fruttificare i talenti di ciascuno”.

La lotta tra il bene e il male qui in Sicilia non è una metafora, ma un continuo richiamo alle proprie responsabilità e a quella cultura di fede cristiana che proprio nel giorno di Pasqua si mostra vincente nel Risorto.

Nel messaggio di Pasqua Pennisi, parlando delle Resurrezione di cristo, scrive ai suoi fedeli: “Noi non siamo gli ammiratori di un defunto famoso, ma i discepoli di un Vivente, che sta realizzando il Regno di Dio come regno di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace sulla terra come nel cielo. Noi, che a Pasqua lo celebriamo come nostro contemporaneo, siamo incaricati di lavorare con lui al suo progetto per il Regno nel tempo presente”.

Fonte: Vatican Insider.

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