Mosul. «Ricordo terroristi correre per strada con la spada» | Tempi.it

ottobre 15, 2014Leone Grotti

Le testimonianze dei cristiani di Mosul, costretti dallo Stato islamico a scappare in Kurdistan e ora trasferiti in Giordania. «Com’è possibile che avvenga nel 21esimo secolo?»

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«I miliziani dello Stato islamico ci hanno sradicato e buttato fuori dal nostro paese. Abbiamo lasciato Mosul con il cuore spezzato». Abu Safwan è uno dei 1.800 cristiani che dopo essere fuggiti dai terroristi islamici a Erbil, nel Kurdistan, sono stati trasferiti in un centro cattolico in Giordania, fuori dalla capitale Amman, su invito del re Abdullah II e della Caritas.

case-cristiani-mosul-califfato-home«TERRORISTA IN CASA MIA». «Hanno scritto una lettera “N” in rosso sulla mia casa», racconta alla Bbc Abu Suleiman, un tempo residente di Mosul, sulla sessantina. «Si riferisce al termine arabo per “cristiano”. Ora hanno deciso che la mia abitazione è proprietà dello Stato islamico. Ho lasciato anche il mio negozio: ho perso tutto ciò che abbia mai avuto nella mia vita».
Ma la cosa che gli dà più fastidio è un’altra: «Come posso andare avanti a vivere? Tutti i nostri diritti umani sono stati abusati. Ora mi hanno detto che nella mia casa di famiglia vive un terrorista dell’Afghanistan. Questo per noi è insopportabile».

«NON C’È PIÙ UMANITÀ». Jassam Hanna è un commerciante e quando lo Stato islamico è arrivato a Mosul ha provato a rimanere. «Ricordo uomini che correvano per le strade brandendo la spada. Com’è possibile che questo avvenga nel 21esimo secolo? Non c’è più umanità in Iraq, è finita».
Hanna è fuggito quando gli islamisti hanno cominciato a chiedergli il pizzo: «Dovevo pagare per tenere aperti i miei tre negozi. Poi un giorno è arrivato un ragazzino dicendo di essere il nuovo “governatore”. Ha detto che le mie cose erano ora proprietà dello Stato islamico. Era troppo per me».

cristiani-iraq-erbil-02SCAMPOLI DI LUCE. Il commerciante di 33 anni è più arrabbiato con l’Occidente che con il suo governo: «L’America non ha fatto niente per Mosul quando i cristiani sono stati costretti a scappare dalla città. Sono passati quattro mesi da quando è successo e né l’esercito iracheno, né gli americani hanno fatto niente per riprendere la città».
Per quanto l’atmosfera nel centro giordano sia disperata, ci sono ancora dei piccoli scampoli di luce: «La mia bambina è la prima ad essere nata in esilio qui in Giordania», afferma Abu Safwan cullando una neonata tra le braccia. «Spero che potremo tornare nelle nostre case».

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