Nella Costituzione spunta la legge anti-blasfemia

di Giorgio Bernardelli

Ma che cosa c’è scritto nella tanto contestata Costituzione egiziana varata in tutta fretta con l’accelerazione del presidente islamista Mohamed Morsi? E perché i cristiani e l’opposizione liberale sono tanto preoccupati? Alcuni nodi possono aiutare a capire.

Innanzi tutto la questione dell’articolo 2, quello sull’applicazione della shari’a, la legge islamica. In sé all’Assemblea costituente – prima di ritirare per protesta i propri rappresentanti – un risultato i cristiani l’hanno ottenuto: la sua formulazione è rimasta la stessa della Costituzione del 1971. Si afferma dunque che i principi della shari’a sono la fonte prioritaria della legislazione egiziana: era già così e nessuno si illudeva di poterlo cancellare. Il problema, però, è che accanto è comparso un nuovo articolo – il numero 219 – che va a definire che cosa sono «i principi della shari’a». E il riferimento lì è alle scuole interpretative dei primi secoli dell’islam. Per questo si teme che nella legislazione ordinaria l’interpretazione di quello stesso articolo sarà molto più restrittiva.

C’è poi un secondo motivo di preoccupazione: l’articolo 4 stabilisce che per tutte le materie che riguardano la sfera religiosa la Corte costituzionale non decide più autonomamente, ma deve consultarsi con Al Ahzar, l’importante scuola di pensiero sunnita del Cairo. Una formulazione del genere mina chiaramente l’autonomia del potere giudiziario. A ebrei e cristiani all’articolo 3 è garantito una giurisdizione autonoma sulla statuto della persona e le questioni religiose e l’articolo 43 riconosce espressamente la libertà di culto. Ma anche questa salvaguardia contiene in sé un limite profondo: è limitata alle sole altre due religioni abramitiche e dunque non è affermazione di una vera libertà religiosa. Non si applica – ad esempio – alla religione ba’hai, che ha seguaci in Egitto.

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