Nello Utah legalizzano la poligamia

di Massimo Introvigne

Uno degli argomenti degli oppositori del «matrimonio» omosessuale è che, se si ammette una forma alternativa di «matrimonio» diversa da quello fra un uomo e una donna, si apre la porta al riconoscimento di altre forme alternative, a partire dalla poligamia. Dopo la sentenza della Corte Suprema americana del 26 giugno 2013, che apriva le porte al «matrimonio» fra persone dello stesso sesso, un sorridente presidente Obama aveva commentato che «love is love», l’amore è amore. Ma se l’amore è sempre amore, chi siamo noi per giudicare che quello poligamo – cantato, per esempio, nella poesia araba molti secoli prima che qualcuno cominciasse a parlare di «matrimoni» omosessuali – non dev’essere riconosciuto dallo Stato?

All’epoca, i sostenitori del «matrimonio» omosessuale avevano liquidato l’obiezione relativa alla poligamia come una sciocchezza. Sono passati meno di sei mesi, e ci siamo già. Con una sentenza storica – sulle prime pagine di molti quotidiani americani, e sostanzialmente ignorata in Italia – il 13 dicembre 2013 il Tribunale Federale per il Distretto dello Utah ha giudicato incostituzionali molti articoli della legge di quello Stato che proibisce la poligamia. Lo Utah è l’unico Stato degli Stati Uniti dove i mormoni sono in maggioranza, e uno sguardo al contesto storico – del resto esaminato a lungo nella stessa sentenza – è obbligatorio.

Tra le rivelazioni più sconcertanti che il fondatore dei mormoni, Joseph Smith (1805-1844), affermava di avere ricevuto da Dio c’era quella secondo cui, insieme ad altre pratiche dell’Antico Testamento, doveva essere restaurata anche la poligamia. I mormoni iniziarono a praticare la poligamia nel 1842. Dopo l’assassinio del fondatore si trasferirono nel remoto Utah, dove fondarono un loro Stato indipendente che legalizzò la pratica della poligamia nel 1852. Con gli anni, lo Utah divenne meno remoto dagli Stati Uniti, e la costruzione della ferrovia transcontinentale rese la sua «separatezza» un ricordo del passato. Il governo federale americano cominciò a sostenere che il territorio dello Utah faceva parte degli Stati Uniti. Dopo battaglie legali e perfino una piccola guerra i mormoni si piegarono. In tutte queste vicende la questione della poligamia dei mormoni, considerata scandalosa da molti americani, giocò un ruolo non trascurabile. Nel 1890 lo Utah divenne uno Stato degli Stati Uniti, e la Chiesa Mormone – sulla base di una nuova rivelazione che il suo presidente affermava di avere ricevuto da Dio – abbandonò la pratica della poligamia.

Come sempre avviene in questi casi, alcuni mormoni «tradizionalisti» non accettarono la riforma, e continuarono a praticare la poligamia. Oggi i membri della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, cioè la Chiesa mormone maggioritaria, sono quindici milioni mentre i poligamisti scismatici – una comunità che ho personalmente studiato anche con ricerche e interviste sul campo – sono circa quarantamila.

Il tema della poligamia è stato riportato all’attenzione degli americani dalla serie televisiva «Big Love», in onda – anche in Italia, ma solo via satellite su Fox Life – dal 2006 al 2011, che narra le vicende di un imprenditore poligamo con tre mogli. La Chiesa mormone ha protestato perché, a suo dire, questa serie, peraltro pluri-premiata per la sua ottima qualità, avrebbe nuovamente associato i mormoni a una pratica, la poligamia, che hanno abbandonato da oltre cento anni. Ma in realtà la serie chiarisce che la Chiesa mormone maggioritaria, semmai, è attiva nel denunciare i mormoni scismatici poligami chiedendo che siano puniti dalla legge, e li considera responsabili di atti non solo illegali ma dal suo punto di vista anche eretici.

«Big Love» ha molto a che fare con la vicenda giudiziaria degli ultimi giorni. La serie televisiva è stata creata da una coppia di sceneggiatori omosessuali in un’epoca in cui in nessuno Stato degli Stati Uniti era possibile il «matrimonio» tra persone dello stesso sesso. I due sceneggiatori, Mark Olsen e Will Scheffer, hanno sempre ammesso che, mostrando una famiglia poligama tormentata ma simpatica, volevano convincere gli americani che anche in forme alternative di «matrimonio» – quello poligamo così come quello omosessuale – ci può essere il «grande amore» che dà il titolo alla serie. Appena è stato possibile, Olsen e Scheffer si sono sposati – tra loro, beninteso.

«Big Love» è finito nel 2011, ma il suo successo ha spinto la televisione americana a proporre degli altri prodotti simili. Uno di questi, «Sister Wives» («mogli sorelle», come si chiamano tra loro le mogli di uno stesso marito nei gruppi mormoni scismatici), non è uno sceneggiato ma un reality show, che mostra la vita reale di un poligamista, Kody Brown, delle sue quattro mogli e dei loro diciassette figli. Il programma è iniziato nel 2010 ed è tuttora in onda. Non senza qualche denuncia giornalistica della Chiesa mormone maggioritaria – che, come ho accennato, non solo non protegge i poligamisti scismatici ma li detesta – Kody Brown è stato incriminato in base alla legge dello Utah che proibisce la poligamia. Come ha affermato il pubblico ministero, il signor Brown non solo viola la legge contro la poligamia – lo fanno qualche migliaio di persone nello Utah, e non tutte sono perseguite – ma la viola tutte le settimane in televisione, sfidando apertamente lo Stato.

Brown ha fatto ricorso – contro le corti e la legge dello Utah – a un tribunale federale, sostenendo che la legge che vieta la poligamia è incostituzionale, per due ragioni. La prima è che viola la libertà religiosa. È vero, sostiene Brown, che la libertà religiosa ha dei limiti, ma la Corte Suprema già in un caso del 1993, il caso Hialeah, ha autorizzato un culto afro-cubano della Florida a sacrificare animali nei suoi riti nonostante le leggi sulla protezione degli animali, sostenendo che la libertà di religione deve prevalere. E, afferma Brown, gli americani del XXI secolo sono certamente più scandalizzati dai maltrattamenti degli animali che dalla poligamia. In secondo luogo, il ricorso di Brown cita – precisamente – la questione degli omosessuali e afferma che, se è cambiato il modo in cui la politica e le leggi vedono l’omosessualità, non si vede perché lo stesso non possa e debba accadere per la poligamia.

Venerdì scorso il Tribunale Federale ha dato ragione a Brown, dichiarando incostituzionali e cancellando diversi articoli della legge anti-poligamia dello Utah. Lo ha fatto in nome della libertà religiosa, sostenendo che quella legge era stata creata per colpire specificamente i mormoni prima del 1890 – quando praticavano la poligamia – e mantenuta poi per colpire i mormoni scismatici. Ma ha accolto anche l’argomento relativo all’omosessualità, citando la Corte Suprema la quale ha affermato che l’esclusione come «immorali» dei rapporti omosessuali dalla sfera di quelli che hanno rilievo e meritano protezione giuridica, per quanto abbia una tradizione secolare, non è oggi più condivisa dal comune sentire americano.

La vittoria di Brown non è piena. Il signor Brown – e qualche migliaio di altri poligamisti dello Utah – potranno convivere alla luce del sole con le loro mogli – siano due, quattro o quindici – senza essere inquietato dalla polizia e dalle leggi, e potranno sposare le loro mogli plurime in cerimonie religiose. Ma – almeno per ora – non potranno pretendere che questi matrimoni poligami siano celebrati nei comuni e abbiano effetti civili ulteriori rispetto a quelli che la legge garantisce a qualunque convivenza non illecita (e con questa sentenza la poligamia illecita non lo è più). Ma è solo questione di tempo, e anche i riconoscimenti giuridici si adegueranno alle situazioni di fatto. Lo Stato dello Utah potrebbe fare appello, ma commentatori autorevoli glielo sconsigliano affermando che non ha nessuna possibilità di successo.

Americanate? In Europa, è vero, non ci sono mormoni scismatici che vivono in poligamia. Ma ci sono già ora musulmani poligami, e alcuni si sono rivolti alla Corte Europea dei Diritti Umani. Sostenendo che è vero, in passato i musulmani poligami avevano perso delle cause perché era stato loro risposto che, se vengono in Europa, devono adattarsi al millenario modello europeo del matrimonio. Ora però, sostengono questi musulmani, i modelli sono due: matrimonio fra un uomo e una donna e «matrimonio» omosessuale. Perché non potrebbero essere tre, includendo la poligamia che tra l’altro ha una storia e una diffusione mondiale ben più ampia del «matrimonio» omosessuale? La sentenza americana del 14 dicembre dimostra che non è impossibile che i giudici diano loro ragione. E che è dimostrato, nei fatti, uno degli argomenti di chi si oppone al «matrimonio» omosessuale: quando s’introducono nuove forme di matrimonio, non ci si ferma a due. Dopo la poligamia, in Germania un fratello e una sorella hanno fatto ricorso alla Corte Suprema perché sia dichiarata incostituzionale anche la legge che vieta l’incesto. Se sì al «matrimonio» omosessuale, perché no alla poligamia? Se sì alla poligamia, perché no all’incesto? «Love is love», come direbbe Obama.

Fonte: Nello Utah legalizzano la poligamia.

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