Non sottovalutiamo le differenze tra sciiti e sunniti | Corrispondenza romana

(di Carlo Manetti) La vulgata illuminista che soggiace all’azione di pressoché tutti gli organi di informazione di massa, con lodevoli quanto rare eccezioni, pretende tutti gli uomini uguali e mossi unicamente dal marxiano soddisfacimento dei bisogni primari. In questo quadro anche le peculiarità dottrinali degli sciiti, all’interno dell’Islam, sono sottaciute, con la inevitabile conseguenza di non comprenderne la diversa collocazione sullo scacchiere internazionale. L’Islam è letto dagli sciiti, a differenza dei sunniti, in modo spirituale e dottrinale.

I sunniti pongono l’anima dell’Islam nei famosi cinque pilastri (professione di fede, preghiera, elemosina, digiuno e pellegrinaggio), tutti di carattere unicamente etico; la stessa professione di fede è un atto materiale che non implica nessuna credenza razionale e spirituale. Gli sciiti, pur riconoscendo l’obbligatorietà dei cinque pilastri sul piano etico, vi antepongono gerarchicamente cinque fondamenti dottrinali. Il monoteismo oltre ad affermare l’unicità di Dio, comune a tutti i musulmani, postula, a differenza  dei sunniti, che il Corano e gli altri libri sacri abbiano due livelli interpretativi: uno palese ed uno occulto, esoterico. La profezia è riconosciuta a tutti i profeti biblici ed a Maometto, ma, a differenza dei sunniti, che riconoscono loro l’infallibilità unicamente in tema di fede, gli sciiti attribuiscono loro l’inerranza assoluta.

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