Nordafrica, rivoluzione scippata | Cultura | www.avvenire.it

«Ma è possibile che i media occidentali debbano aspettare che ci scappi il morto, prima di accorgersi di quello che sta succedendo alle nostre rivoluzioni?». Lo sfogo di Lina Ben Mhenni dura solo un attimo, ma la sua tensione è evidente. Su una Avenue Borguiba presidiata dai blindati dell’esercito, a pochi metri dal caffè dove siamo sedute a parlare, sta sfilando l’ennesima manifestazione di islamisti, che urlano con violenza i loro slogan. Questa volta, contro l’Ugtt, il principale sindacato del Paese, definito «un covo di corrotti». «Vorrebbero che il sindacato fosse sciolto, è incredibile…», sospira Lina scuotendo la testa.

A due anni dal suicidio dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 diede avvio alle rivoluzioni nordafricane, la blogger più famosa della primavera araba, la “tunisian girl” che lanciava sul web le sue denunce anche quando Ben Ali era ancora al potere, candidata al Nobel per la pace e pluri-decorata per il suo coraggio (a novembre le è stato consegnato il premio Minerva «all’impegno politico e ai diritti umani») è stanca. Ma sempre combattiva. Nonostante la salute precaria e le tensioni quotidiane: «Ricevo minacce di continuo, contro di me è stata montata una campagna diffamatoria violenta». Due volte è stata brutalmente picchiata e molestata dalla polizia. «E ho paura anche della milizia di Ennahda». Il partito di matrice islamica che domina la coalizione di governo è messo sotto accusa da tanti fronti: per l’inconcludenza delle sue politiche – la disoccupazione continua a crescere e la povertà è tangibile, non solo nel Sud del Paese -, ma anche per i giochi di potere e soprattutto per l’eccessiva tolleranza nei confronti degli estremisti religiosi salafiti.

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