Omodiktat in Canada e certi avvocati non esercitano più… – Notizie Pro Vita

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07/07/2018

Con sentenza del 15 giugno 2018, la Corte Suprema del Canada ha permesso all’Ordine degli avvocati, in due province, d’impedire l’esercizio della professione ai laureati della Trinity Western University. Il motivo sta nel fatto che questo istituto, di religione evangelica, chiede ai suoi iscritti la firma di un codice etico ai sensi del quale si impegnano, nella vita personale e comunitaria, a «praticare le azioni riconosciute nella Bibbia come virtù, e ad astenersi da quelle indicate come dannose». Tra queste ultime compaiono gli atti di «intimità sessuale che violano la sacralità del matrimonio tra uomo e donna».

Non entriamo nel merito dell’invasione della sfera privata da parte di una simile regola di condotta che, così formulata, è difficilmente difendibile per l’assenza di un nesso con la dimensione pubblica o con l’insegnamento. Il punto è che questa clausola è stata impugnata non per la sua invasività, ma per il suo carattere discriminatorio ai danni delle persone omosessuali. Nel 2014 l’avvocatessa lesbica di Vancouver, Barbara Findlay, ha avviato una battaglia legale per far revocare l’abilitazione della TWU all’insegnamento delle materie giuridiche. Nonostante il documento sia firmato da adulti consenzienti, e gli studenti in disaccordo possano cercare formazione altrove, la Findlay osserva che comunque l’accordo di comunità tratta le coppie eterosessuali «più favorevolmente di quelle omosessuali» ed è paragonabile «a un negozio che rifiuta di servire una persona perché omosessuale».

Ragioniamo. Si lamenta qui una violazione della Carta dei diritti e delle libertà per una regola di comportamento che attiene principalmente alla vita privata. Quanto più grave sarebbe stata considerata la violazione di fronte a una norma di principio? Che ad esempio imponesse e l’insegnamento da parte dei docenti, e la professione da parte degli studenti (tra cui futuri giudici e avvocati), dei princìpi di diritto naturale che ostano al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali? Intendiamoci, sarebbe una norma sacrosanta, e  comunque non equivarrebbe a discriminare un omosessuale in un esercizio commerciale, secondo il paragone della Findlay: perché ai negozianti non deve importare l’uso che i clienti fanno dei prodotti venduti, mentre ad una élite culturale importa eccome l’uso che gli studenti fanno degli insegnamenti ricevuti.

Ora sì che possiamo avere un senso della gravità di questo intervento giudiziario contro la TWU. Ciò che interessa agli ideologi omosessualisti è arrivare a mettere fuori legge qualunque voce, per quanto timida e flebile, che osi ancora negare dignità morale e sociale allo status omosessuale. Casi del genere sono ormai all’ordine del giorno in tutto il mondo, ma molti, in una situazione come quella descritta, pensano di dover denunciare una lesione della libertà religiosa. Grave errore. Non abbiamo a che fare con una questione (esclusivamente) confessionale. È un discorso di ragione e di civiltà che tocca le radici stesse del vivere in comune.

Dalla parte opposta lo hanno capito molto bene, infatti la Corte Suprema, pur ammettendo la compressione della libertà religiosa, dichiara che la revoca dell’abilitazione agli avvocati usciti dalla TWU ha la funzione di prevenire «un danno concreto alle persone Lgbtq e all’interesse pubblico in generale». La questione riguarda l’interesse pubblico, su questo non c’è dubbio: sarebbe ora che tutti se ne rendessero conto…

Vincenzo Gubitosi

Fonti:
Tempi
NCRegister

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