Omofobia: un problema di opinione o di violenza? | documentazione.info

Mentre i media continuano a tenere viva l’attenzione sul problema dell’omofobia sembra non esistano sufficienti dati scientifici o statistici che provino una reale emergenza in Italia. Eppure la legge contro l’omofobia continua il suo iter in parlamento nonostante le divisioni e le perplessità. Intanto l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni ha pubblicato un manuale che “educa” i giornalisti su come scrivere di omosessualità.

Una legge contro la violenza o contro l’opinione?

Esiste un disegno di legge in Italia che ha un insolito privilegio: tutti i giornali ne parlano prendendo posizioni diametralmente opposte, i partiti restano in sostanziale disaccordo ma il ddl continua imperturbato ad andare avanti a ritmo spedito. Nonostante una maggioranza spaccata e una opposizione astenuta, almeno per le prime votazioni in Parlamento.

Stiamo parlando della discusse legge contro l’omofobia entrata con forza nell’agenda delle urgenze del Paese scavalcando temi come i costi della politica, il debito pubblico o l’occupazione giovanile.

Il testo della legge mira a modificare due norme già esistenti ovvero la legge 13 ottobre 1975, n. 654 e la legge 25 giugno 1993, n. 205.

Come si può notare, si tratta di condannare persone che «diffondono idee», «incitano alla discriminazione»: si tratta quindi, né più né meno di reati di opinione. Chi si considera contrario ai matrimoni fra omosessuali è punibile? Dal primo paragrafo della legge sembrerebbe proprio di si. Così come parrebbe punibile il singolo cittadino che si dichiarasse pubblicamente a favore del matrimonio tradizionale se il matrimonio omosessuale  entrasse nel codice civile.

L’articolo 3bis, introdotto recentemente con un emendamento, specifica inoltre che l’individuo non ha in ogni modo libertà di opinione ma solo le «organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto».

Un documento per condizionare i giornalisti

A questo tentativo di limitare fortemente la libertà d’espressione ( si parla di finire letteralmente in prigione per aver espresso una opinione se questa viene percepita come violenta) si aggiunge una volontà di intraprendere una rieducazione dei giornalisti. I metodi scelti sembrerebbero volti a distinguere i professionisti dell’informazione in “buoni e cattivi”, in “eticamente corretti e scorretti” attraverso un documento, patrocinato dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che si propone di insegnare ai professionisti dell’informazione quali termini siano giusti o sbagliati quando si parla di omosessualità. Il documento contiene anche istruzioni sui termini da prediligere per creare una predisposizione positiva nei confronti degli argomenti cari al movimento LGBT. Giusto per citarne un paio:

-A proposito dell’impossibilità di una coppia, formata da due uomini, di avere un figlio e della conseguente necessità di pagare una donna per portare avanti una gravidanza il documento bacchetta i giornalisti: non bisognerà mai usare l’espressione «utero in affitto» bensì «gestazione di sostegno», «gestazione per altri» o ancora meglio «maternità surrogata». Per chi scrive quel documento l’espressione utero in affitto è «dispregiativa nei confronti della donna» che viene pagata per portare a termine una gravidanza di un bambino che cederà subito ai nuovi genitori e «dispregiativa nei confronti di chiede un servizio del genere». Infine il documento, facendo un piccolo volo nel campo della semiotica, rimprovera i giornalisti che usano il termine «utero in affitto» perché non è un termine neutro e perché non lascia spazio «all’indagine personale e alla formazione autonoma di un’opinione». Eppure chiunque abbia frequentato un qualunque corso di  comunicazione sa che difficilmente nel giornalismo esistono termini neutri. La semplice scelta di un qualunque termine rispetto a un altro è già una scelta arbitraria da parte del giornalista che in qualche modo, così facendo, la connota in una direzione piuttosto che in un’altra.

-Sempre in tema di adozioni il documento vieta di sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico». Il giornalista che sostenesse questa tesi si renderebbe responsabile della propagazione di un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica».  Infine una chicca sul dibattito pubblico e sul contraddittorio: «se c’è chi difende i diritti delle persone LGBT si dovrà  dare voce anche a chi è contrario. Questo, però, non è affatto ovvio». Nel box affianco a questo paragrafo, infatti, si fa notare che quando un argomento è dato come assodato, dalla società o nel dibattito pubblico, non c’è più bisogno di un contraddittorio.

Omofobia: quali dati scientifici?

Data la forza del richiamo, che viene portato avanti dai media, sui temi dell’omofobia viene subito da chiedersi se questa emergenza sia reale o se sia mediatica. Esiste una evidenza scientifica che suoni come un campanello dall’allarme?

Finora i pochi studi esistenti dimostrano che è più una percezione che un fatto suffragato da statistiche e numeri. Per le stesse associazioni LGBT, la richiesta di attenzioni nella lotta all’omofobia non si basa su un aumento esponenziale di episodi violenti nei confronti di persone omosessuali ma sul semplice fatto che l’Italia rimane un paese sostanzialmente restio nei confronti del matrimonio omosessuale e all’adozione per coppie di stesso sesso. Lo dimostra il report, citato da Tempi, intitolato Realizzazione di uno studio volto all’identificazione, analisi e al trasferimento di buone prassi in materia di non discriminazione nello specifico ambito dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere (2007-2013), nel quale si accusano gli italiani di omofobia solo per il fatto che hanno ancora un giudizio negativo su matrimonio gay. Non ci sono invece dati precisi su episodi di violenza o discriminazioni di altro tipo. Invece vi si può leggere quanto segue: «Si può dunque sostenere che l’intolleranza nei confronti delle persone con impulsi omosessuali e bisessuali sembrerebbe nella maggior parte della popolazione fondata non su un immotivato odio omofobico, ma sull’adesione al preciso modello familiare di tipo nucleare eterosessuale». Secondo l’Avvocatura Lgbt dunque basta “aderire” a un modello familiare eterosessuale per essere considerati intolleranti? E di conseguenza, una volta in vigore la legge sull’omofobia, basterà esprimere contrarietà alle nozze o alle adozioni gay per ricadere nella fattispecie di reato per cui è previsto il carcere?

Un altro argomento generalmente utilizzato a riprova dell’esistenza di una “emergenza omofobia” è il tasso di suicidi, più alto nella popolazione con tendenze omosessuali che nella restante. Qui per fortuna ci sono molti più dati scientifici, che però dimostrano l’esatto contrario di quanto affermato da chi chiede con urgenza una legge contro l’omofobia.

Alcune ricerche svolte nei paesi cosiddetti “gay friendly” dimostrano infatti che la sofferenza di chi ha impulsi omosessuali non è correlabile all’omofobia. Ad esempio in Danimarca, dove le unioni gay sono legali dal 1990, è emerso che da allora fino al 2001 il tasso di suicidi tra le coppie di uomini era otto volte superiore a quello registrato per gli uomini uniti a donne. Lo studio The association between relationship markers of sexual orientation and suicide: Denmark, 1990-2001, condotto da ricercatori dell’Università di Oxford, riporta inoltre un tasso di suicidi più alto tra gli uomini uniti civilmente ad altri uomini, rispetto al resto della popolazione con tendenze omosessuali. Un’altra ricerca, Marriage, cohabitation and mortality in Denmark: national cohort study of 6.5 million persons followed for up to three decades,1982-2011, pubblicata nel 2009 sulla rivista scientifica Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology ed estesa a un campione di ben 6,5 milioni di persone, lungo un arco di tempo di 29 anni, dimostra lo stesso: il tasso di suicidi fra gli uomini sposati con altri uomini è quattro volte maggiore di quello fra uomini sposati con donne.

Problema reale o percezione?

La necessità di una legge contro l’omofobia sembra quindi più una emergenza ideologica. Non a caso alcuni media che si stanno battendo per questa legge hanno di molto gonfiato determinati casi legati a presunti casi d’omofobia. Strumentalizzando soprattutto il suicidio di due ragazzi. In un episodio, quello di Andrea Spezzacatena, si è  ingigantita la vicenda, catalogata come un episodio di omofobia, fino a provocare manifestazioni come la fiaccolata che si è tenuta a Roma e una dichiarazione del Presidente della Repubblica Napolitano.

Peccato che proprio mentre i media utilizzavano la triste storia di un ragazzo ce si è tolto la vita per spingere la legge contro l’omofobia i compagni, gli insegnanti, ma sopratutto i genitori smentivano categoricamente che Andrea fosse omosessuale. Inascoltati dai media che non hanno mai rettificato la notizia.

Tutto questo rumore mediatico serve probabilmente a far entrare nell’agenda politica e nella discussione quotidiana un argomento che, senza queste spinte comunicative, gli italiani non percepirebbero come urgente o come importante. Anche per il fatto che l’Italia è uno dei paesi meno omofobi del mondo:

Una recente ricerca del Pew Research Center pone infatti l’Italia all’ottavo posto tra i paesi al mondo nei quali l’omosessualità è più accettata. Dalla ricerca Usa apprendiamo inoltre che negli ultimi anni in tale ambito l’Italia ha fatto più progressi di Spagna e Germania, paesi nei quali unioni civili e nozze gay sono legali: lì la tolleranza verso l’omosessualità è aumentata del 6%, da noi del 9%. Dove per omofobia si intendono ovviamente atti violenti o comunque empiricamente misurabili contro persone di orientamento omosessuale, non semplici opinioni pro/contro il matrimonio tra coppie dello stesso sesso.

Fonte: Omofobia: un problema di opinione o di violenza? | documentazione.info.

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