Pakistan, corsa contro il tempo per salvare Asia Bibi – La Stampa

Terminata la protesta dei gruppi radicali islamici, presentate alla Corte Suprema due istanze per la revisione del verdetto e per impedire l’espatrio della donna. I cristiani «tra incredulità e ingiustizia»
AFP

Un uomo schiaccia la foto di Asia Bibi in segno di protesta contro la sua liberazione

Pubblicato il 05/11/2018
PAOLO AFFATATO
ROMA

Il tempo stringe per salvare Asia Bibi. In Pakistan è terminata la protesta dei gruppi radicali islamici guidati dal movimento Tehreek-Labbaik Pakistan (Tlp) , organizzazione che ha fatto la sua fortuna politica proprio puntando tutto sul caso della donna cristiana condannata a morte per blasfemia e assolta il 31 ottobre dalla Corte Suprema. La vita sociale ed economica è tornata alla normalità, ma la situazione resta fluida.

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L’accusa, rappresentata dall’imam Qari Salim, l’uomo che, pur non essendo presente al momento del presunto reato, firmò nel 2009 la denuncia per blasfemia contro Asia Bibi, ha già presentato una istanza per “revisione della sentenza”, possibilità prevista dalla procedura penale. Questa mattina è stata presentata agli alti magistrati di Islamabad una seconda petizione che chiede la confisca del passaporto e l’inserimento del nome di Asia Bibi nella speciale “lista di uscita controllata”, l’elenco che include tutti i cittadini pakistani ai quali è vietato l’espatrio.

«La situazione in Pakistan resta tesa. Circola nella società civile, tra cristiani e musulmani, un senso di incredulità e di ingiustizia. I radicali hanno manifestato in spregio alle istituzioni democratiche, alla magistratura e al governo, in spregio allo stato di diritto. Questo sembra molto grave», rileva a Vatican Insider il domenicano James Channan che guida il “Peace Center” a Lahore, impegnato per il dialogo interreligioso e i diritti delle minoranze religiose. « I leader del Tlp hanno chiamato la gente in strada giocando con l’emozioni del popolo e usando la religione islamica per i propri scopi politici, prescindendo dalla verità dei fatti, ovvero dall’innocenza di Asia Bibi», nota.

Tuttavia cominciano a farsi sentire in Pakistan le voci di leader religiosi islamici che prendono posizioni diverse: è il caso del maulana Tariq Jameel, noto studioso e predicatore televisivo. «Ho letto la sentenza e credo che Asia Bibi sia innocente», ha detto Jameel, annunciando che «non vi è alcuna ragione sensata per scendere in strada e protestare». Accanto a lui altri ulema hanno diffuso simili pronunciamenti, mentre il gruppo “Tanzeem Ittehad-i-Ummat” ha ricordato che «con atti di violenza diciamo al mondo che noi siamo estremisti», condannando gli atti di vandalismo compiuti dai manifestanti.

Anche l’esecutivo ha preso contromisure: la Polizia del Punjab ha arrestato circa 1.100 persone sospettate di aver ferito agenti e di aver danneggiato proprietà private e pubbliche nei tre giorni di protesta dopo il verdetto. Il ministro federale dell’informazione Fawad Chaudhary ha dichiarato che «né le osservazioni contro giudici, governo e militari, né i danni alla proprietà rimarranno senza risposta». Un primo passo è stato la sospensione dell’account del social network Twitter di Khadim Hussain Rizvi, il leader del Tlp e principale fomentatore delle proteste di massa. Intanto la Corte Suprema dovrà pronunciarsi su entrambe le istanze legali presentate, ma è probabile che, nonostante le pressioni, impiegherà giorni o settimane prima di deliberare.

In questo tempo resta aperta la porta per salvare Asia Bibi: lo hanno compreso il governo pakistano e gli attivisti della società civile europea e nel mondo. In Italia una petizione inviata al governo chiede di dare asilo politico alla donna e alla sua famiglia. Anche il mondo politico si muove: Giorgia Meloni, leader del partito “Fratelli d’Italia”, invita il governo italiano a «offrire un posto sicuro dove vivere ad Asia e alla sua famiglia: l’Italia non può essere indifferente». Questa mattina Silvia Costa, europarlamentare del Partito Democratico, durante le celebrazioni interculturali per la festa del “Dipavali”, organizzate dall’Unione Induista Italiana, ha rinnovato «l’auspicio che l’Italia si faccia garante per ottenere l’asilo politico per Asia e ospitarla nel Bel paese». In Spagna, Francia e Gran Bretagna vi sono campagne simili. E negli Stati Uniti è divenuto virale l’appello del marito di Asia Bibi, Ashiq Masih, che dal Pakistan si rivolge al presidente Donald Trump chiedendo accoglienza.

Resta essenziale il sostegno del mondo islamico. L’organizzazione multireligiosa “Religions for Peace” ha diffuso una «lettera agli amici musulmani», osservando con favore che «avvocati musulmani hanno difeso la donna cristiana, pur sapendo di poter subire ritorsioni». «Vi chiedo – scrive il presidente Luigi De Salvia – proprio in virtù del nostro impegno comune a costruire buoni rapporti tra le religioni, di fare il possibile perché Asia Bibi possa tornare in libertà e riabbracciare i suoi familiari». Un impegno comune, conclude, basato sulla tutela della libertà religiosa e la dignità umana, come «anche il vostro Libro Sacro insegna».

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