PAKISTAN – INDIA Paul Bhatti: “Vogliamo risposte concrete contro le ingiuste condanne a morte per blasfemia” – Asia News

Nei giorni scorsi una coppia di Gojra è finita nel braccio della morte per aver inviato sms all’imam locale contenenti insulti a Maometto. Anche in questo caso, come per Sawan Masih e Asia Bibi, si tratta di accuse false per dirimere controversie personali. Vescovo di Islamabad annuncia nuova giornata di digiuno e preghiera. La solidarietà dei cristiani indiani.

Islamabad (AsiaNews) – “Siamo dispiaciuti per quello che sta succedendo in Pakistan. La All Pakistan Minorities Alliance (Apma) respinge con forza queste condanne. Ora servono risposte concrete: per prima cosa, bravi avvocati che siano all’altezza della difesa [degli imputati]”. È quanto sottolinea ad AsiaNews Paul Bhatti, ex ministro federale per l’Armonia nazionale e leader Apma, commentando le recenti condanne a morte contro i cristiani per (presunti) reati di blasfemia. L’ultima vicenda è emersa nel fine settimana e riguarda una coppia originaria del Punjab, finita nel braccio della morte per aver inviato – secondo l’accusa – un sms contenente insulti verso il profeta Maometto. Già nei giorni scorsi la Chiesa cattolica pakistana, insieme ad attivisti cristiani e musulmani, aveva celebrato a più riprese momenti di digiuno e preghiera per Sawan Masih e Asia Bibi, due vittime della “legge nera”, condannate a morte e in attesa del processo di appello.

Lo scorso 4 aprile un tribunale del Pakistan orientale ha condannato una coppia cristiana a morte per blasfemia. Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar avrebbero, secondo l’accusa, inviato messaggi di testo all’imam della moschea della loro zona, contenenti offese verso l’islam e il profeta Maometto. I fatti risalgono al luglio scorso e i due, sulla quarantina, si trovano ora rinchiusi nel carcere di Toba Tek Singh; la coppia è originaria di Gojra e ha tre figli. Entrambi respingono con forza le accuse del leader islamico Maulvi Hussain e annunciano l’intenzione di ricorrere in appello contro la condanna. Il telefono dal quale sarebbero partiti gli sms incriminati, infatti, era stato smarrito tempo addietro e non era più in possesso dei due cristiani.

La vicenda della coppia cristiana si unisce al dramma di Asia Bibi e Sawan Masih. La donna, dal novembre 2010 nel braccio della morte, sottoposta a regime di isolamento in carcere per motivi di sicurezza, è ormai da tempo un simbolo della lotta contro la “legge nera”. Dopo molti rinvii, il prossimo 14 aprile si dovrebbe celebrare la prima udienza del processo di secondo grado. Il 26enne cristiano è stato invece condannato dietro false accuse che, in realtà, celano dissapori personali con il querelante. In questo caso il processo di appello è previsto per il 25 luglio 2014, presso l’Alta corte di Lahore.

Interpellato da AsiaNews Paul Bhatti – fratello dell’ex ministro federale per le Minoranze Shahbaz, massacrato dagli estremisti islamici nel marzo 2011 per essersi opposto agli abusi perpetrati in nome delle leggi sulla blasfemia – spiega che “è necessario individuare un bravo legale, se possibile musulmano, per provare l’innocenza degli accusati”. Il leader Apma, che ha raccolto l’eredità di Shahbaz, aggiunge inoltre che è necessario “parlare con personalità islamiche influenti” per smontare i capi di imputazione e far emergere la verità. “Ad oggi – continua – secondo l’inchiesta della polizia risultano colpevoli e i giudici, dietro pressioni [dei fondamentalisti] decidono per la condanna [a morte]”.

Bhatti manifesta ottimismo perché “abbiamo ancora varie possibilità di appello, fino ad arrivare alla Corte suprema”. Egli, come in passato, non rinuncia però ad accusare le Ong e altri gruppo che “vivono di queste vicende e fanno più male che bene, presentando avvocati giovani e spesso mal-retribuiti, che in tribunale si rivelano poco influenti”. Per l’ex ministro è una “triste realtà, perché questi casi [di blasfemia] possono essere risolti in modo positivo“, come avvenuto per la giovane Rimsha Masih per la quale lo stesso Bhatti si era speso in prima persona. “Di recente ho contattato vari imam e un ministro federale per gli Affari religiosi – conclude – siamo all’inizio ma con un sostegno concreto e buona volontà ce la faremo”.

Il vescovo di Islamabad/Rawalpindi si scaglia contro le nuove condanne per blasfemia. “Fa male vedere che a una sola settimana di distanza da una incriminazione ai danni di una persona – sottolinea ad AsiaNews mons. Rufin Anthony – un’altra coppia sia condannata a morte”. Il tutto per l’invio di un sms, aggiunge il prelato, e “non è la prima volta che qualcuno sia perseguito in via legale per l’invio di un messaggio di testo”. Il vescovo annuncia un nuovo giorno di digiuno e preghiera per mercoledì 9 aprile “per tutti quelli rinchiusi nel braccio della morte”. Un appello cui si unisce la Masihi Foundation and Life for All Pakistan, che annuncia una “manifestazione di protesta pacifica” per la giornata.

L’eco degli eventi è giunta anche in India, dove si rinnovano gli appelli per la liberazione di persone innocenti che nulla hanno a che fare con reati di blasfemia. Sajan K George, presidente di Global Council of Indian Christians (Gcic), parla di “leggi ingiuste”, l’accusa “più facile da sferrare contro una persona” per ottenerne la condanna, tanto da diventare nel tempo norme “abusate per dirimere controversie personali”. Anche in questo caso, aggiunge il leader cristiano indiano, l’accusa è partita da un imam, appartenente alla moschea di Gojra, località “con una storia di violenze anti-cristiane alle spalle”.

(Hanno collaborato Jibran Khan e Nirmala Carvalho)

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