Pakistan. Ucciso in carcere cristiano accusato di blasfemia | Tempi.it

settembre 27, 2014Leone Grotti

 

In una settimana sono stati uccisi un cristiano e un musulmano per false accuse di blasfemia: il primo in carcere dalla sua guardia, il secondo per strada

 

 

pakistan-zafar-bhatti«Vicende come questa, in cui singole persone si fanno “giustizia” da sole, rappresentano un segnale preoccupante». Così l’ex ministro Paul Bhatti ha commentato ad AsiaNews l’assassinio in Pakistan del pastore protestante Zafar Bhatti, ucciso il 25 settembre scorso nella prigione in cui era rinchiuso dal 2012 per false accuse di blasfemia. Il suo processo era ancora in corso ma una guardia del carcere ha deciso di non aspettare il verdetto dei giudici.

 

MINACCE DI MORTE. Zafar Bhatti, originario di Karachi (foto a sinistra), è stato denunciato nel luglio del 2012 a Rawalpindi per violazione della legge sulla blasfemia da Ahmed Khan, vicesegretario del movimento islamico Jamat Ehl-e-SunnatKhan ha accusato il pastore di avergli mandato messaggi blasfemi sul cellulare insultando la madre di Maometto, reato punibile con la condanna a morte. L’accusa in questi due anni non è mai stata dimostrata. Anzi, il numero da cui sono stati inviati i messaggi incriminati si è rivelato di proprietà di un’altra persona. Nonostante questo, dopo aver ricevuto innumerevoli minacce di morte da estremisti islamici, Bhatti è stato ucciso nella sua cella.

 

“BLASFEMO” SALVO. Lo stesso agente che la mattina del 25 settembre è entrato nella prigione di Rawalpindi per uccidere Bhatti, ha anche cercato di assassinare un’altra persona accusata di blasfemia. Mohammad Asghar, scozzese di origini pakistane e malato di mente, condannato a gennaio per la sua pretesa di essere un profeta dell’islam venuto dopo Maometto, è stato colpito da un proiettile alla schiena ma è rimasto miracolosamente illeso.

 

pakistan-blasfemia-Mohammad-Shakil-AujPROFESSORE LIBERALE. Questi due casi seguono di appena una settimana l’omicidio a Karachi del decano di Studi islamici presso l’università di Karachi. Mohammad Shakil Auj (foto a destra) aveva 54 anni ed era considerato un professore liberale. Per questo era stato accusato più volte da nemici e colleghi di essere blasfemo. Il professore sosteneva pubblicamente, ad esempio, che una donna musulmana poteva sposare un uomo di un’altra religione e che le donne non dovevano togliersi il rossetto o lo smalto prima di recitare le preghiere rituali. Per questo il 18 settembre un uomo ha affiancato la sua macchina e gli ha sparato un colpo alla testa.

 

LEGGE SULLA BLASFEMIA. Nella stragrande maggioranza dei casi la legge sulla blasfemia viene utilizzata in modo strumentale per vendette personali o ragioni economiche: gli accusati, infatti, sono spesso costretti ad abbandonare le loro proprietà, che vengono rilevate per due soldi o addirittura sequestrate dagli accusatori. Ne è prova il fatto che oltre il 95 per cento di queste accuse si rivelano in sede giudiziaria false e infondate.
Ma nonostante questo non c’è scampo per chi viene accusato di blasfemia: cristiani e musulmani sono stati uccisi mentre entravano in tribunale per il processo, perché per i gruppi fanatici islamici non c’è giustizia umana che possa contraddire quella divina. Questo è il motivo per cui sempre più spesso gli imputati non assistono ai dibattimenti in aula e, anche quando vengono assolti, sono costretti a lasciare il paese per sempre. Purtroppo, come i casi dell’ultima settimana dimostrano, gli accusati non vengono protetti neanche in carcere.

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