E’ da anni che Tareq Oubrou traccia con discrezione il suo cammino per aiutare i suoi correlegionari musulmani a trovare il loro posto in una Francia laica. Nel suo ultimo libro, un imam in rabbia (Ed. Bayard) questo figlio d‘insegnante marocchino, educato alle confluenze della tradizione musulmana e della modernità occidentale, non esita a prendersela “con gli ignorante che determinano oggi ciò che è ortodosso„.
Per quelli che vogliono verità tutte fatte, Tareq Oubrou, religioso erudito, oppone un islam della sfumatura, che interpreta il corano alla luce del contesto e raccomanda un adeguamento delle pratiche rituali con le realtà della società francese. Un islam spirituale e non identitario, aperto sul suo ambiente.
Ritiene che i musulmani debbano regolarsi alla società nella quale vivono, francese in questo caso. Come?
Sulla base delle realtà concrete che li circonda. Occorre che i musulmani possano accordare i loro gesti alla loro fede senza perturbare il funzionamento della società con rivendicazioni eccessive, liberi di rinunciare ad una certa visibilità. “Il tutto o nulla„ è nocivo ed arriva ad una via senza uscita, alimentando la paura nei non musulmani. Si è musulmano quando si ha la fede; è la grazia di dio che salva. Le pratiche cultuali, sono adattili. Le preghiere possono essere effettuate dopo il lavoro, ad esempio, o il digiuno del ramadan rinviato in caso di malattia. Il vero problema riguarda i comportamenti che dipendono dall‘etica personale e che sono diventati marcatori per molti musulmani: mangiare halal, portare il velo…
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