Proviamo a capire che cosa è in gioco

«Non è proprio questo che propone il gender, ovvero il rifiuto dell’alterità, della differenza, e la rivendicazione di adottare tutti i comportamenti sessuali, indipendentemente dalla sessuazione, primo dono della natura? In altre parole, la pretesa di “conoscere” la donna come l’uomo, di diventare il tutto dell’umano, di liberarsi da tutti i condizionamenti naturali, e quindi “di essere come Dio”?» (Gilles Bernheim, Quello che spesso si dimentica di dire)

Dedico questo articolo ai distratti, a quelli che si fidano ciecamente della buona fede altrui, a chi non c’era e se c’era dormiva, a quelli che non si pongono domande, a chi credeva che… e invece. Dedico questo articolo a chi si sta svegliando ora che la frittata è (quasi) fatta. Meglio tardi che mai.
A gennaio di quest’anno, edita da CulturaCattolica.it e da Salomone Belforte & C., a cura di don Pierre Laurent Cabantous è stata pubblicata la traduzione integrale in italiano del saggio su matrimonio omosessuale, omogenitorialità e adozione, scritto dal Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim. Il titolo era (ed è) azzeccato che più di così non si può: “Quello che spesso si dimentica di dire”.
In Francia e in Italia, da allora non è cambiato nulla: stesse dimenticanze, stessi vuoti di memoria. L’ideologia e il pensiero unico hanno continuato imperterriti a stravolgere la realtà.
Non fosse stato per CulturaCattolica.it, La bussola quotidiana, Tempi e un pugno di altri temerari, che come le oche del Campidoglio hanno da subito gridato l’allarme, la legge sull’omofobia probabilmente sarebbe stata votata a luglio, nell’indifferenza generale. Se ne sta discutendo ancora.
Qualcun altro, da allora, si è destato dal torpore del politically correct e pare abbia finalmente capito che la difesa degli omosessuali-vittime-di-discriminazioni in realtà è solo una scusa perché la vera posta in gioco sono le nozze gay, le adozioni e lo sdoganamento del gender pensiero.
Un esempio? In Francia, dalla legge contro l’omofobia, in men che non si dica si è passati al matrimonio per tutti e al figlio per tutti. Nel futuro (che è già presente), mammelle in affitto, uteri in affitto, compravendita di bambini-oggetto, introduzione dell’ideologia gender nelle scuole. E non è finita. Volete sentire una carrellata di mostruosità in diretta dal circo che stiamo diventando? In Scozia venerdì scorso un lui e una lei si sono sposati. Niente da eccepire, non fosse che lui in origine era una lei e lei in origine era un lui. Helen (il lui diventato lei) e Felix Fenlon (la lei diventata lui) sono convolati a nozze (etero?) dopo aver entrambi cambiato sesso. In Germania un transessuale ha partorito un bambino che guardando in volto suo padre prima o poi verrà a sapere che in realtà è sua madre. A Bologna, nella modulistica scolastica, le categorie “padre” e “madre” sono state eliminate e sostituite con la formula “genitore” e “altro genitore”. Esempi di quotidiana rivoluzione antropologica. Così. Tanto per capire dove stiamo andando a parare, complice il silenzio di chi finora ha taciuto per i motivi più vari ed avariati.
Repetita iuvant, allora, oggi più di sempre.
Per sapere come rispondere a chi dice sì al matrimonio omosessuale, in nome dell’uguaglianza e/o della protezione del coniuge, e sì anche all’omogenitorialità in nome dell’amore e della tutela giuridica. Sì all’adozione omosessuale, in nome del diritto ad avere un figlio o per il bene dei bambini che aspettano di essere adottati. Il saggio del Gran Rabbino offre risposte puntuali e precise a tutti questi luoghi comuni dell’ideologia gender, e ad altri ancora.
Questo libro va (ri)letto per comprendere qual è davvero la posta in gioco legata alla negazione della differenza sessuale. Per rendersi conto di cosa accadrà se i desideri dell’uomo si tramutano in diritti, se le sue pulsioni diventano fattori di comportamento e se la diffusione statistica degli errori dà loro il carattere della verità. Questo libro va letto se vogliamo aprire gli occhi, perché «le nuove forme di omogenitorialità – come scrive Bernheim – aprono la via a degli spaventosi scenari. Per esempio, una lesbica fa dono di un ovocita alla sua compagna che si fa inseminare ed è così il figlio della “coppia”. Lo sperma può essere preso da una coppia di omosessuali che eserciterà, in seguito, una “cogenitorialià” sul bambino, avente questo, di conseguenza, quattro genitori».
Ma desidero proporre tutta la conclusione del saggio: a distanza di otto mesi dalla pubblicazione l’ho riletto e ho capito che parla a me. A noi.
«Quello che mi infastidisce è il rifiuto di interrogarsi, il rifiuto di uscire dalle proprie convinzioni.
Ciò che crea problema nella legge prevista è il danno che essa causerebbe all’insieme della nostra società a solo profitto di una infima minoranza, una volta che si saranno rovinate in modo irreversibile tre cose:
• le genealogie, sostituendo la genitorialità alla paternità e maternità
• il diritto del bambino, che passa da soggetto a oggetto al quale chiunque avrà diritto
• le identità o connotazioni sessuali come dato naturale, che sarebbero in obbligo di cancellarsi di fronte all’orientamento espresso da chiunque, in nome della lotta contro le diseguaglianze, alterata in sradicamento delle differenze.

Queste problematiche devono essere chiaramente definite nel dibattito sul matrimonio omosessuale e l’omogenitorialità. Si riferiscono ai fondamenti della società nella quale ciascuno di noi ha voglia di vivere.

Io sono tra coloro che pensano che l’essere umano non si costruisca senza struttura, senza ordine, senza statuto, senza regole; che l’affermazione della libertà non implichi la negazione dei limiti; che l’affermazione dell’uguaglianza non comporti il livellamento delle differenze; che la potenza della tecnica e dell’immaginazione esiga di non dimenticare mai che l’essere è dono, che la vita ci precede sempre e che ha le proprie leggi.
Ho voglia di una società in cui la modernità occupi tutto il suo posto, senza che però vengano negati i principi elementari dell’ecologia umana e familiare.
Di una società in cui la diversità dei modi d’essere, di vivere e di desiderare sia accettata come una possibilità, senza che tale diversità venga però diluita riducendola a un denominatore più piccolo che cancelli ogni differenziazione.
Di una società in cui, nonostante i progressi del virtuale e dell’intelligenza critica, le parole più semplici — padre, madre, coniugi, genitori — conservino il loro significato, allo stesso tempo simbolico e incarnato.
Di una società in cui i bambini siano accolti e occupino il loro posto, tutto il loro posto, senza però diventare oggetto di possesso a ogni costo o posta in gioco del potere.
Ho voglia di una società in cui ciò che accade di straordinario nell’incontro tra un uomo e una donna continui a essere istituito, con un nome preciso».
Noi di CulturaCattolica.it desideriamo lo stesso, e non sarà una legge a zittirci.

Fonte: Proviamo a capire che cosa è in gioco.

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