Quando il Kgb diffamava il vescovo di Solidarnosc – Vatican Insider

Dagli archivi polacchi emerge l’operazione preparata a tavolino per infangare a colpi di dossier la figura di Ignacy Tokarczuk, oppositore del regime sovietico

Giacomo Galeazzi – Francesco Grignetti
roma

Avevano unito le forze, il Kgb e i servizi segreti polacchi in una diabolica alleanza per colpire gli oppositori politici, infangarli, diffamarli. Dagli archivi polacchi è emersa un’operazione “sporca” per macchiare la reputazione del vescovo Ignacy Tokarczuk. Un vescovo dalla schiena d’acciaio che era conosciuto all’epoca come “cappellano di Solidarnosc”. I servizi segreti comunisti produssero un finto dossier che lo mise in grave imbarazzo. Ma era pura diffamazione. Ben confezionata, però. Quel dossier, per acquistare credibilità, fece un largo giro: fu pubblicato in Italia, da “Sette Giorni”, una rivistina pubblicata a Catania. E oggi sappiamo, grazie a Mitrokhin, che quella testata era teleguidata dal Kgb. I fondi  per stamparla venivano da Mosca. Negli archivi sovietici la testata era coperta dalla sigla “Beta” e il suo direttore Carlo Longo, nome in codice “Kirill”, era considerato un rapporto confidenziale del servizio segreto.

 

 

“Sette Giorni” (da non confondere con “Sette giorni in Italia e nel mondo”, direttore Ruggero Orfei) aveva già avuto un suo momento di gloria, se così si può dire. Fu quando pubblicò in esclusiva mondiale un presunto dossier particolarmente infamante (e ugualmente falso) a carico di Elena Bonner Sacharov, nell’aprile 1980, accusata addirittura di avere organizzato diversi omicidi. La storia di quel dossier è ormai abbastanza nota. Fu fabbricato a tavolino dal Kgb per fiaccare la resistenza dei coniugi Sacharov, che in quel periodo erano diventati particolarmente scomodi per il Cremlino. Si sa ben poco, invece, del tentativo di distruggere l’immagine del vescovo Tokarczuk.

 

 

Del prelato, del suo ruolo di guida spirituale dei militanti di Solidarnosc, aveva cominciato a occuparsi il temibile Gruppo D del IV dipartimento del ministero dell’Interno di Varsavia. Racconta Piotr Litka – autore dei libri “Padre Popieluszko. I giorni che sconvolsero la Polonia: materiali sconosciuti dagli archivi della Stasi” e “Screditare il Papa. Fatti e documenti sconosciuti su Giovanni Paolo II” – che il Gruppo D, di cui si scoprirono le malefatte soltanto dopo l’omicidio del sacerdote martire Popieluszko, fu responsabile di “perquisizioni illegali, minacce punitive, pestaggi, rapimenti, incendi dolosi, torture e omicidi. Padre Bardecki,il principale collaboratore dell’allora vescovo Wojtyla, subì un pestaggio da parte di due persone sconosciute nel centro di Cracovia nell’autunno 1977. Qualche mese prima era morto lo studente Stanislaw Pyjas, appassionato militante del dissenso cattolico a Cracovia”.

 

Litka ha sintetizzato le sue scoperte, inedite finora in Italia, in un libro-intervista appena pubblicato a cura di Agnieszka Zakrzewicz (“I labirinti oscuri del Vaticano”, Newton Compton Saggistica). Nel libro ricostruisce l’operazione Triangolo che il Gruppo D portò avanti per ricattare, e eventualmente distruggere l’immagine di Papa Wojtyla. Operazione che fallì solo per un soffio. Poi racconta: “Nel caso Tokarczuk, produssero a tavolino un dossier che infangava il vescovo”.

 

 

Il dossier era in effetti composto di tre documenti falsi, scritti in lingua inglese, che venivano presentati con il marchio di Radio Free Europe, cioè la Cia. Si sosteneva che tra 1943 e 1944 l’allora giovane sacerdote Tokarczuk avrebbe cooperato con la Gestapo per individuare alcune decine di partigiani comunisti, poi effettivamente arrestati, torturati e fucilati. I fatti erano descritti in una presunta lettera dell’allora vescovo di Lvov, Boleslaw Twardowski, al metropolita di Cracovia, Adam Sapieha, il predecessore di Wojtyla. La finta lettera portava la data dell’8 marzo 1944. E il dossier era particolarmente insidioso perché si poteva ipotizzare un comportamento omissivo anche da parte del nuovo vescovo poi divenuto Papa.

 

 

“Questi documenti ci sono giunti in forma anonima, dentro una busta chiusa”, esordiva l’articolo di “Sette Giorni”, pubblicato nel novembre 1983. E figurarsi. Dalle scoperte di Litka veniamo a sapere che furono prodotti in una stanza del ministero dell’Interno, a Varsavia. In tutta evidenza, poi, i servizi segreti polacchi chiesero aiuto ai fratelli maggiori del Kgb. E per loro si aprì il canale misterioso della rivista di Catania.

 

 

Il presunto scoop fece grandissimo scalpore in Polonia. E ovviamente le autorità comuniste in Polonia si preoccuparono di dare ampio risalto alle “rivelazioni” italiane, facendole tradurre e riprendere sui giornali locali, e alimentando campagne di discredito. Furono pubblicate lettere di famigliari delle vittime che chiedevano conto al vescovo Tokarczuk del suo passato. Si paventò un’inchiesta della magistratura. La chiesa polacca denunciò la provocazione, negando con fermezza i fatti, ma in affanno. Il caso saltò fuori di nuovo due anni dopo, nel 1985, durante il processo ai membri del Gruppo D che poi saranno condannati per l’omicidio Popieluszko. Le “rivelazioni” italiane furono cavalcate dal procuratore e dalla stampa (controllata dal ministero della Propaganda). Di nuovo, una provocazione.

Alla morte del vescovo Tokarczuk, nel 2006, l’Osservatore romano pubblicò le seguenti note di necrologio: “Era il più anziano vescovo polacco: ordinato sacerdote nel 1942 a Leopoli, ora in Ucraina, è riuscito a salvarsi durante la guerra nonostante fosse stato condannato alla morte. Avendo conosciuto di persona il terrore sia del regime nazista sia quello comunista ha sempre lottato a favore della libertà di espressione e di religione. Nominato nel 1965 da Paolo VI responsabile della diocesi di Przemysl dei Latini, fu consacrato vescovo dal primate polacco cardinale Stefan Wyszynski. Come vescovo fondò 220 nuove parrocchie, e nonostante i divieti, fra il 1965 e il 1993, sorsero nella sua diocesi 430 nuove chiese, spesso costruite grazie a stratagemmi, come ristrutturazioni, rapide e fatte di notte, di case o anche di fienili. Monsignor  Tokarczuk ha poi assistito l’opposizione democratica in Polonia ed è stato cappellano del sindacato Solidarnosc”.

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