RARA TESTIMONIANZA DA ALEPPO, TANTO PIÙ IMPORTANTE PERCHÉ SCRITTA DA UN GIORNALISTA ITALIANO ORA IN SIRIA

Vi racconto l’inferno di Aleppo. Con i soldati di Assad che rastrellano i miliziani nella città simbolo della guerra civile. Vampate. Boati. Squarci di luce e di morte nella trama oscura della notte. I soldati attendono silenziosi, addossati al muro, raccolti intorno al gracchiare delle radio. Il colpo del tank è un boato ovattato seguito da nubi di fuoco, da un fragore di terremoto che scuote la terra, artiglia le viscere. Poi il ringhio secco dei kalashnikov, una grandine di traccianti nell’epicentro della esplosione. E poi gli altri. Quelli dei ribelli. Quelli che incrociandoli disegnano scie rossastre sulle nostre teste. Il capitano Hussein tasta il giubbotto antiproiettile, cala l’elmetto sulla fronte, gira nervoso la manopola della radio. Conta i minuti. Tra un po’ l’alba ricamerà il cielo, s’insinuerà tra i falansteri diroccati del quartiere di Maisaloun, illuminerà giardini d’una scuola diventata campo di battaglia. Fra poco toccherà a lui. E a noi. La radio sputa …

… un gracidio arabo. Hussein infila il colpo in canna, alza la mano – «Ialla, andiamo». Ombre in divisa, profili di elmetti e kalashnikov, cassoni di pick up ricolmi d’armati. Capitan Hussein tiene il volante, sorride, ti bussa sull’elmetto. Indica scheletri di cemento e macerie. «Sniper testa giù». Ingrana la prima, la seconda, la terza. Schizza come una biglia impazzita nella retta buia dell’asfalto. S’infila a testa bassa nel concerto d’esplosioni e proiettili tirandosi dietro un convoglio di auto e armati, divorando la strada e le sue voragini, zigzagando tra cavi penduli e piloni abbattuti. Un minuto lungo un’eternità, ma più rapido dell’occhio dei cecchini.

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