Regno Unito, così si lasciano morire gli anziani

di Tommaso Scandroglio

Una manciata di giorni fa il governo di Sua Maestà ha presentato una proposta di legge che mira a togliere o limitare l’assistenza sanitaria a quelle persone anziane che hanno vissuto già abbastanza e che hanno ricevuto cure più adeguate nel corso della loro esistenza. Continuare a prendersi cura di loro con medicinali e visite sarebbe uno sperpero di denaro pubblico. A conti fatti meglio l’abbandono terapeutico quando l’anziano non è più “un beneficio per la società più ampia” – così si legge nella bozza – perché non solo non è più in grado di produrre, ma addirittura consuma risorse.

 

Il criterio presente in questa proposta non è nuovo, l’aveva già coniato il giurista e filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), guarda caso anche lui inglese. Bentham affermava che occorre perseguire la «massima felicità per il massimo numero di persone», anche a costo di sacrificare sull’altare del beneficio di molti la “felicità” di alcuni.

 

In tale prospettiva, medicine e terapie – eccetto il caso dell’accanimento terapeutico – non devono essere date al paziente sempre e comunque in quanto persona bisognosa di cure, ma solo se il gioco vale la candela. E dunque qualcuno a ragione ha parlato di “valore sociale delle medicine”, valore dato dalla proporzione tra apporto dell’anziano a beneficio della società e costi sociali. Se il bilancio è in rosso meglio licenziare dall’assistenza sanitaria il personale in esubero. È il vecchio concetto che tu vali per quello che fai o hai, non per quello che sei.

 

Questa proposta di legge riecheggia una simile fatta da Obama qualche anno fa: in tempo di crisi le risorse sono poche, dunque è meglio investirle su quei soggetti che potranno darti un ritorno perché ancora abili al lavoro (lo stesso criterio per cui nei campi di concentramento nazisti non tutti finivano subito nella camere a gas). Curiosamente Obama voleva aiutare chi aveva meno bisogno di aiuto e lasciare per strada chi meritava invece più attenzione. Una strana torsione del principio di sussidiarietà e solidarietà.

 

Nel Regno Unito si sta dunque assistendo ad una nuova variante dell’eugenetica, un’eugenetica di Stato promossa per motivi di bilancio che tende a buttare dalla torre una fetta di umanità non più sostenibile, non più ecocompatibile con le casse statali. Ma è anche una variazione sul tema “eutanasia”, un prodromo di questa, una variante soft perché l’anticipa in qualche modo, gettando a terra la zavorra per far volare il pallone del welfare più in alto con dentro però pochi eletti. Una vecchiaia terminale, a ben vedere. Ed infatti la bozza di legge risente nel suo contenuto della Liverpool care pathway, un protocollo clinico presente inizialmente  in un ospedale di Liverpool e poi esteso ad altre strutture, ma oggi non più vigente, in cui si prevedeva l’astensione delle cure ai malati terminali.

 

La proposta di legge non spunta fuori dal nulla, come idea bizzarra di qualche parlamentare progressista, ma affonda le sue radici in un particolare concetto bioetico che è stato più volte messo a tema soprattutto in ambiti accademici, concetto che prende il nome di fair innings il quale si incardina non solo sul principio di utilità, ma anche su quello dell’aspettativa di vita: meglio privilegiare i giovani rispetto a chi è ormai sul viale del tramonto.

 

John Harris, docente di bioetica alla Manchester University e sostenitore dell’eutanasia infantile, afferma in un suo scritto del 1970 (The Value of Life, an Introduction to Medical Ethics) che a tutti dovrebbe essere garantita una “equa quota di vita”, stimabile in 70 anni. Chi riesce a superarla “deve considerare eventuali anni ulteriori come una sorta di bonus”, insomma un fortunato a cui se si toglie la possibilità di vivere ancora più a lungo non può gridare all’ingiustizia perché “una volta raggiunta la soglia [dei 70 anni] ha ormai visto soddisfatto il suo diritto”. Un’esistenza a timer è la bella pensata di Harris. Da ciò discende con implacabile logica che tra due “candidati” (il termine è dell’autore) alla sopravivenza, se le risorse non ci permettono di soddisfare le pretese di entrambi, dobbiamo privilegiare colui il quale ha maggiori aspettative di vita, colui il quale ha appena iniziato il suo soggiorno terreno. Insomma, largo ai giovani.

 

Va da sé che, a rigore, occorrerebbe togliere le cure anche a quei giovani che con il loro stile di vita poco salubre – troppo alcool, cibo, fumo e droga e niente sport e verdure – erodono quote significative dell’esistenza, consumando in modo irresponsabile la propria aspettativa di vita e attentando in modo pernicioso alla sua lunghezza. Perché dare perle ai porci sottraendole a chi conduce una vita virtuosa? E dunque ad esempio attenti ad alzare il gomito, un emissario del Ministero della Sanità potrebbe segnalare il vostro nominativo alle autorità competenti e così potreste vedervi depennati dalla lista degli assistiti.

Come chiosa auguriamo al dott. Harris non più “lunga vita” – perché sul suolo inglese forse tra poco sarà vietato tale augurio – ma di rimanere in perfetta salute. Perché il tic tac della sveglia dell’abbandono terapeutico suonerà anche per lui e tra non molto, precisamente il 21 agosto del 2015 quando compirà 70 anni

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