Repubblica Centrafricana: crisi o pacificazione

Si è dimesso il presidente Michel Djotodia, ma la crisi è ancora nel vivo. Testimonianze dai campi profughi. E gli anti-Balaka non sono un’organizzazione cristiana come alcuni media fanno credere.

La crisi nella Repubblica Centrafricana sta subendo sviluppi repentini, così come repentini erano stati l’avanzata dei Seleka, il colpo di stato e l’avvento del caos. In questi giorni registriamo le dimissioni del presidente Michel Djotodia, salito al potere con un golpe militare a marzo 2013, dimissioni avute grazie sicuramente alle pressioni internazionali e alla presenza di truppe straniere (AU e FRA).

Tuttavia la crisi è ancora nel vivo. “Forse i colpi di arma da fuoco sono cessati in questi giorni, ma la tensione è ancora vivida”, afferma un leader cristiano della zona. “La gente spera che questa sia la fine delle uccisioni, delle mutilazioni e dello spargimento di sangue”, sostiene l’ambasciatore del Camerun nella Repubblica Centrafricana. Intanto il paese vive una grave emergenza umanitaria: si parla di oltre 1 milione di persone sfollate, senza considerare che la vera conta dei morti sarà possibile solo più avanti.

In questi giorni abbiamo visitato alcuni campi profughi attorno a Bangui, la capitale, e le condizioni sono scioccanti. Un nostro collaboratore presente alla visita riporta: “Le persone sono costrette a vivere come animali. Mancano i bagni. Dormono in posti sovraffollati”. Porte Aperte ha organizzato dei servizi per mettere insieme i credenti presenti nel campo vicino all’aeroporto (solo questo conta 100.000 persone) e per trasmettere loro speranza e vicinanza.

I media internazionali e nazionali e, nel paese, gli ex membri dei gruppi Seleka continuano a definire come “cristiani” i gruppi di autodifesa (denominati anti-Balaka) sorti per arginare le terribili violenze dei Seleka stessi. Porte Aperte crede che quest’associazione (Anti-Balaka = milizie cristiane) non solo sia sbagliata, ma sia anche pericolosissima, perché finisce per definire il conflitto come “interreligioso” (musulmani contro cristiani) e ciò non fa che stimolare l’astio e le tensioni tra cristiani e musulmani nel paese. Abbiamo cercato di spiegare anche attraverso il nostro programma radio dedicato a questa nazione, che gli anti-Balaka sono gruppi di autodifesa nati per respingere i saccheggi, gli assassini e gli stupri dei ribelli Seleka e che sono in vari casi passati al contrattacco; essi sono tuttavia un mosaico di gruppi e non sono un’organizzazione cristiana. In mezzo a loro si trovano anche cittadini non cristiani e vicini ai riti animisti indigeni. Come crediamo sia importante affermare che non tutti i musulmani centrafricani hanno partecipato alle violenze anti-cristiane o in genere al movimento ribelle dei Seleka.

La semplificazione con cui troppo spesso si affronta questa crisi è devastante e getta benzina sul fuoco. A tutti gli effetti non sappiamo se le dimissioni di Djotodia rappresenteranno un bene o un male, vista l’instabilità e l’emergenza del paese.

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