Salvati dalla speranza cristiana

In questi giorni oscuri e tormentati sto rileggendo e meditando l’enciclica del nostro amato padre e Papa Benedetto “Spe salvi”, per ritrovare anch’io, prete da 60 anni, la forza e la gioia della speranza cristiana. Sì, perché noi italiani, con tutte le sofferenze, i crimini, i fallimenti, le povertà che vediamo attorno a noi, manchiamo di speranza. Siamo non solo preoccupati ma angosciati, pessimisti, a volte disperati o quasi. I nostri discorsi sono volti al peggio, i nostri giornali e telegiornali pare che non diano alcuna speranza di poter vedere la fine dei molti ingorghi di urgenze ed emergenze il cui la nostra cara Patria è precipitata.

E allora, ricorriamo ad una delle tre encicliche di Papa Benedetto che tratta proprio della Speranza. Il testo latino dell’enciclica (del 2007) inizia con queste parole: “Spe salvi facti sumus”, e si riferisce alla prima enciclica “Deus Caritas est”, Dio è Amore, Dio ci ha creati e ci ama sempre, anche nella situazione drammatica in cui ci troviamo. “Spe salvi” tratta il tema che la fede dà la speranza della Vita eterna con Dio, ma che ci conforta e sostiene anche nella vita terrena in questo mondo. In altre parole: senza la speranza che Dio che è Amore dà all’uomo, l’uomo stesso non può vivere bene, perché, come scrive il Papa: “Solo quando il futuro è realtà positiva, diventa vivibile anche il presente… Chi ha speranza vive diversamente, gli è donata una vita nuova” (n. 2).

Il cristianesimo non è solo comunicazione della “Buona Notizia”, ma infusione della forza della Fede e la Speranza cristiana, che non “in qualcosa”, ma “in Qualcuno”. E Papa Benedetto, per concretizzare queste parole, porta l’esempio del nostro Salvatore. Nel mondo in cui viveva Gesù vigeva la schiavitù. Le persone venivano comperate e vendute al mercato degli schiavi ed erano del tutto nelle mani dei loro padroni. Situazione orrende, spaventosa, certo molto peggiori della nostra. “Gesù Cristo – scrive Benedetto XVI – non era Spartaco o Barabba, non era un combattente per una liberazione politica”. Anzi “è morto Egli stesso in Croce”; ma ci ha condotti all’“incontro con il Dio vivente e così l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo… Anche se le strutture esterne rimanevano le stesse, questo cambiava la società dal di dentro” (n. 4).

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